Monopolio statale della violenza e dell’agonia

«Orso-che-corre trascorre oltre venti anni nel braccio della morte, dove si ammala gravemente: quasi cieco, ridotto su una sedia a rotelle e con il cuore ferito severamente da due infarti. La sua storia evidenzia un aspetto essenziale dell’agonia nella death row [braccio della morte]. Due mesi prima dell’esecuzione Ray Allen viene sottoposto, per decisione istituzionale, a un sofisticato intervento chirurgico al cuore. Lo Stato decide che deve essere tenuto in vita, per essere ucciso, sessanta giorni dopo, con una iniezione letale» (*).

La vicenda di Ray Allen/Orso-che-corre – Ya-nu-a-di-si, nella sua lingua nativa – è senza dubbio paradigmatica dell’intreccio tra sadismo istituzionale, monopolio statale della violenza e burocrazia che caratterizza la gestione dei corpi reclusi.
Ugualmente paradigmatica è la minaccia – e, purtroppo, la possibilità concreta – di sottoporre a nutrizione forzata Alfredo Cospito, recluso in regime di 41bis e da oltre tre mesi in sciopero della fame contro quello stesso regime di tortura.

Sottrarre e negare al recluso ogni possibilità di autodeterminazione è la dimostrazione più lampante e feroce di quanto il regime carcerario rappresenti esclusivamente la volontà di vendetta dello Stato: se vuoi vivere ti seppellisco vivo/a, se vuoi morire ti tengo in vita a forza (lasciandoti sepolto, ovviamente!), affinché tu non possa MAI fare del tuo corpo uno strumento di resistenza al monopolio statale della violenza.

Alcuni anni fa ho avuto occasione di visitare una mostra sulla storia dello sciopero della fame, allestita a Kilmainham Gaol, ex carcere dublinese dove furono rinchiusi e fucilati anche i principali esponenti dell’Insurrezione di Pasqua del 1916. Una sala della mostra era dedicata proprio alla nutrizione forzata, cui furono costrette tanto le suffragette incarcerate negli anni ’10-’20 quanto le militanti repubblicane Dolours e Marion Price nei primi anni ’70 del secolo scorso ed erano esposti anche gli strumenti (di tortura!) utilizzati per questa violenta pratica coercitiva, poi dichiarata non-etica dall’Associazione medica mondiale nel 1975.

A cinquant’anni di distanza da quella dichiarazione non solo le cose non sono cambiate ma, come due anni di pandelirio hanno ampiamente dimostrato, il monopolio statale della violenza va a braccetto con la sovradeterminazione, da parte istituzionale, delle scelte individuali di vita e di morte così come di quelle relative alla salute e alla cura.
La riduzione capitalistica degli esseri umani a merci, la definitiva reificazione-alienazione dell’individuo nelle mani dello Stato e del Kapitale passa anche – e prima di tutto – attraverso la negazione e la criminalizzazione di ogni forma di autodeterminazione.

Per questo le lotte contro il carcere e contro tutte le istituzioni totali e le loro propaggini nelle istituzioni ordinarie sono lotte femministe, oltre che libertarie e anticapitaliste, come già le nostre compagne ci hanno dimostrato un secolo fa.

(clicca sull’immagine per ingrandirla)

Il silenzio del femminismo mainstream su carcere e istituzioni totali e la ricorrente richiesta di leggi contro la violenza maschile sulle donne, oltre a dimostrare un’ignoranza storica abissale sono i chiari segnali di una volontà collaborazionista con chi si arroga il monopolio della vita, della morte e dell’agonia altrui.

(*) Nicola Valentino, Le istituzioni dell’agonia. Ergastolo e pena di morte, Sensibili alle foglie 2017

Achtung Alpinen!

Da qualche giorno si parla delle numerose molestie che molte donne hanno vissuto in occasione del raduno degli alpini a Rimini.

Nulla di nuovo: già nel 2018 in questo sito avevo riportato le testimonianze di compagne trentine (1 e 2) che raccontavano le stesse dinamiche patriarcal-militari. E chissà se anche questa volta il pronto soccorso ginecologico dell’ospedale cittadino è stato rafforzato in occasione dell’arrivo dell’orda pennuta…

Chi finge di scoprire oggi l’acqua calda, per altro invitando le donne a denunciare, ha per caso detto mezza parola quando la salute di un intero paese è stata militarizzata e proprio ad un alpino, generale della Nato, è stata affidata la distribuzione di sieri da sperimentare sulla pelle di quella stessa popolazione?

Figuriamoci! Mai state così tanto zitte, le sedicenti femministe!!!

E oggi che soluzione propongono alle molestie di Rimini? Ovviamente non l’auspicabile assedio di donne alle sedi degli alpini per urlare un collettivo e tonante ‘NO!’, né tanto meno una mobilitazione che dica, una volta per tutte, che non ne possiamo più di militari e militarizzazione.

Anzi: la soluzione proposta è quella di rivolgersi alle divise per denunciare altre divise. Complimenti! Così le donne che hanno vissuto sulla propria pelle le molestie dovranno anche dimostrare con prove la veridicità delle loro affermazioni, lasciando ulteriore spazio alle schifezze che già dal mondo degli alpini – e delle alpine… – si vanno moltiplicando a propria difesa.
Davvero femminista come pratica, non c’è che dire!

Ma costoro si rendono conto o no che in questo modo non si fa altro che ribadire quella stessa logica perversa sdoganata dall’operazione ‘strade sicure’ per cui la sicurezza delle donne sarebbe garantita dai loro potenziali (e non solo potenziali, se pensiamo a Francesco Tuccia) stupratori in divisa?

A questo punto perché queste sedicenti femministe non chiedono che la fanteria o il settimo cavalleggeri presidino la città in cui si terrà il prossimo incontro?

Inutile dire che nemmeno ci provo a far ragionare costoro, poiché dalla sua nascita nudm non fa che elemosinare leggi e soldi allo stato patriarcale e la radicalità femminista non è proprio nelle sue corde.

Che continuino pure sulla loro strada suicida costoro; ma noi, femministe non addomesticate né addomesticabili, che intendiamo fare?
Ci andiamo o no sotto le sedi degli alpini?

E, soprattutto, vogliamo organizzare o no un bel ‘benvenuto’ per quando questa orda di molestatori avvinazzati si presenterà a Udine nel 2023?

Tra l’altro quelle zone sono state anche la culla di Gladio, la Stay Behind italiana, e, della Protezione civile dopo il fallito tentivo di Scelba di fondarla per il controllo (para)militare del territorio (*)…

Serve aggiungere altro?

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(*) Non finirò mai di ringraziare Alessandra Kersevan per avermi illuminata su queste e altre friulane ‘coincidenze’ non casuali, in occasione di una iniziativa a Udine in cui ero stata invitata a parlare di militarizzazione della salute e dei territori

Lo spettro di Seveso

Era il lontano 2007 quando, come collettivo Maistat@zitt@, organizzammo a Milano un incontro su produzioni di morte, nocività e difesa ipocrita della vita, a partire dal disastro avvenuto a Seveso poco più di trent’anni prima.

Rileggere i dispositivi autoritari con cui le istituzioni gestirono l'”emergenza diossina” a Seveso può fornirci degli strumenti utili per comprendere il presente e liberarci definitivamente dalla narrazione tossica che da due anni ci avvelena l’esistenza e ‘militarizza’ la nostra salute.

Per questo da alcune settimane ho cominciato a girare per l’Italia proponendo un percorso di riflessione su queste tematiche che ci aiuti a comprendere come differenti percezioni del rischio possano attivare strumenti di lotta e di autodeterminazione o, all’opposto, aprire la strada a soluzioni autoritarie.

Man mano che si definiscono aggiornerò qui i prossimi appuntamenti, ma intanto vi invito a leggere l’intramontabile (purtroppo!) Topo Seveso.

Appuntamenti: Roma – 5 marzo; Pisa – 13 marzo; Bologna – 18 marzo; Udine/Trieste – 19 e 20 marzo; Genova – 23 marzo; Busto Arsizio – 2 aprile; Parma – 6 maggio; Ravenna – 7 maggio (1 e 2); Trento – 8 maggio; Taranto – 21 maggio; Tradate – 3 giugno; ….

Seveso, 1976

Ma che vadano a zappare!

In vista del dibattito parlamentare che si è tenuto ieri sull’agricoltura biologica, alcuni giorni fa è apparso nel mainstream un articolo di Giorgio Parisi in cui le norme sull’agricoltura biodinamica sono definite “assurde e incostituzionali”.
Di articoli contro l’agricoltura biodinamica – accusata di “magia” o “stregoneria” – il mainstream abbonda, ma la furia di Parisi si è scatenata, in quell’articolo, anche contro le terapie antitumorali antroposofiche con il vischio (per altro vietate in Italia ma utilizzate con successo in altri paesi): «Come siamo arrivati a questo punto? Il nostro Parlamento ha una passione per le teorie di Steiner? Forse apprezza la teoria steineriana che i vaccini sono dannosi […] o la sua proposta di curare i tumori con il vischio?».

Non solo, come ho già avuto modo di spiegare, le terapie col vischio sono state fondamentali nel mio processo di guarigione, ma col mio orto posso anche confermare che il metodo biodinamico è efficacissimo.

Senza, evidentemente, avere alcuna informazione al riguardo e armato di arroganza scientista il suddetto ha dunque sferrato un attacco complessivo ad una visione del mondo e della salute che non può né deve passare inosservato.

Avrei lasciato volentieri scivolare via le parole di Parisi (in linea col Mattarella-pensiero!) se non avessi percepito nella sua talebana presa di posizione la volontà sempre più diffusa e marcata di imporre una monocoltura della mente: «Le monocolture della mente cancellano la percezione della diversità e la diversità stessa. […] Passare alla diversità come modo di pensare e come contesto in cui agire, libera una molteplicità di scelte», scrive Vandana Shiva (1).

Il vero obiettivo dell’attacco è proprio la volontà di stroncare alla radice ogni possibile molteplicità di scelte, come stiamo verificando più che mai da due anni a questa parte.
Non deve sorprendere se il giorno prima di stralciare la biodinamica dal testo di legge sull’agricoltura biologica la stessa Camera dei deputati ha approvato il DdL che introduce la tutela della biodiversità nella Costituzione – tanto in quella stessa Costituzione si afferma anche che l’Italia ripudia la guerra, no?
E se per i parlamentari la difesa della biodiversità corrisponde all’effettivo ripudio della guerra – considerato che il bilancio della Difesa prevede, per il 2022, circa 26 miliardi di euro – non dobbiamo sorprenderci se alla difesa ipocrita delle biodiversità corrisponde la sempre più feroce imposizione di una monocoltura della mente.

L’attacco è a 360 gradi e va ben oltre la questione vaccini: «Le monocolture si diffondono non perché permettono di produrre di più, ma perché permettono di controllare meglio» (1).
La volontà denigratoria – di Parisi come di altri/e – nei confronti della biodinamica non è che l’ennesimo tassello di un processo autoritario che mira ad annullare definitivamente chi/ciò che non intende allinearsi (o essere funzionale) al pensiero unico, cioè al neoliberismo.

A tutti e tutte costoro non posso che consigliare di andare a zappare, perché soltanto sperimentando dal vivo, anche coltivando un piccolo orto, si è poi in grado di discernere e di parlare in modo appropriato delle cose; tutto il resto è e rimane flatus vocis.

In ultimo, ci tengo molto a ricordare che tutto coloro che usano definire come “magia” certe pratiche e saperi, sono anche i primi che applaudono i bioprospettori inviati dalle multinazionali farmaceutiche in Amazzonia e altri luoghi remoti per saccheggiare le conoscenze tradizionali e tribali sulle erbe curative per poi isolarne i principi attivi e riprodurli sinteticamente in laboratorio ai fini del profitto.

Io sto dalla parte delle streghe! E voi?

Note: (1) V. Shiva, Monocolture della mente. Biodiversità, biotecnologia e agricoltura “scientifica”, Bollati Boringhieri 1995

Oltre la censura

Prima che l’autocensura Rai la faccia sparire anche da youtube, vi consiglio di guardare questa inchiesta. Nulla di soprendente per chi non ha mai creduto alla ‘Banda Bassetti’, ma in qualcun/a altro/a potrebbe suscitare un paio di dubbi…

Per chi poi volesse trovare seri studi scientifici sugli effetti collaterali dei sieri (chiamati furbescamente ‘vaccini’), segnalo questo canale Telegram: https://t.me/studiscientificivaccini

«Non si invochi la libertà per sottrarsi alla guerra»

Il modo migliore per aiutarvi a prevenire una guerra
non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi,
ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi.

Virginia Woolf

Prima ghinea
Il titolo di questo post è un tipico esempio di quella che la psicoanalisi chiamerebbe condensazione.
La frase così com’è, infatti, non è attribuibile a nessuno di preciso. Ma in epoca di “seconda dose” di Mattarella, essa condensa in sé il suo accorato appello al «Dovere, morale e civico, della vaccinazione» con la logica guerrafondaia di quest’uomo – ministro della difesa ai tempi della guerra contro la Jugoslavia (la famosa “Operazione Allied Forces”, ampiamente sostenuta anche dal femminismo mainstream occidentale!).

«Non si invochi la libertà per sottrarsi dalla vaccinazione, perché quella invocazione equivale alla richiesta di licenza di mettere a rischio la salute altrui e in qualche caso di mettere in pericolo la vita altrui», dichiarava solennemente Mattarella nell’aprile 2021 evidentemente senza alcuna contraddizione col suo attivo e partecipato sostegno ad un’operazione bellica in cui venne bombardata anche la popolazione civile (5mila morti e 10mila feriti serbi, tra militari e civili, secondo i dati Nato riportati dalla rivista della Difesa italiana).

D’altra parte, da mesi ci ammorba un ipnotico ritornello che nulla ha da invidiare a quello che affermò all’epoca Jamie Shea, portavoce della Nato: «C’è sempre un costo per sconfiggere un male. Non è mai gratuito, purtroppo. Ma il costo del fallimento per sconfiggere un grande male è molto più alto».
E allora… VIVA LA GUERRA! Zang-tumb-zang-tuuum tuuumb!!!

Sarà per questo che, tra una dose di siero, l’altra e l’altra ancora, pochi/e si stanno accorgendo del delinearsi di un Afghanistan dentro l’Europa, in cui cui l’Italia ha un ruolo tutt’altro che secondario?
Nulla che debba sorprendere: basti ricordare che, nella primavera del 2020, mentre noi eravamo tenute/i coercitivamente blindate/i nelle nostre case e i militari pattugliavano il territorio italiano, i ‘figliuoli della patria’ erano impegnati proprio in Lettonia (ma tu guarda che coincidenza?!?!!!) con l’esercitazione Nato “Steele Quench”, sicuramente in nome di un intramontabile «Dovere, morale e civico, della guerra» (altra condensazione…).

Seconda ghinea
Alcuni giorni fa, in una lista di compagne nata all’inizio del pandelirio per darci supporto e scambiarci informazioni/riflessioni/spunti, scrivevo delle necessità ed urgenza di uno studio sulla psicologia di chi si è fatto/a vaccinare volontariamente – cioè non sotto coercizione.
Mi piacerebbe infatti capire come sia possibile che milioni di persone che hanno creduto alla menzogna dell’immunizzazione, che si son fatti 2-3 dosi e forse si farebbero anche la quarta malgrado abbiano preso il covid e siano anche, in alcuni casi, finiti in ospedale (ma in questo caso, si sa, si/ti raccontano che avrebbero avuto effetti peggiori senza il ‘vaccino’), continuino tenacemente a credere tanto nella narrazione dominante – e, spesso, anche a criminalizzare chi non si fa vaccinare – quanto alla “non correlazione” tra sieri e crescenti casi di disabilità/morte in ogni fascia di età, malgrado le evidenze…

Mi sconcerta anche il loro reset quotidiano compiuto – volontariamente? inconsciamente? – per non cogliere quel “tutto e il contrario di tutto” che alimenta le giornaliere farneticazioni di virologi&politici superstar e che ormai è degno solo di video-barzellette sui social (che vengono immancabilmente censurate anche se riportano testualmente le loro dichiarazioni).
La risposta l’ho, poi, trovata in un testo di Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni sulla Cognizione del terrore; della prima autrice consiglio caldamente anche di leggere (e meditare su) Un’altra idea di salute.

La seconda ghinea, quindi, è per chi non intende lasciarsi lobotomizzare definitivamente e, anziché guardare il festival di Sanremo, preferirà dedicare le prossime serate a letture degne di esser chiamate tali.

Terza ghinea
Lo scorso ottobre avevo dato alcune indicazioni per autodeterminare la prevenzione.
Nel frattempo varie persone a me care si sono trovate costrette all’inoculazione coercitiva del siero per non morire di fame e poter continuare a lavorare – o, addirittura, per poter continuare a cercare lavoro!
Per chi si trovasse nella stessa situazione, ecco qui due protocolli utilizzati per cercare di disintossicarsi quanto più possibile dal siero. Il primo è stato stilato da un medico omoeopata, il secondo è frutto delle ricerche di una studiosa di rimedi naturali.

1 – GALIUM Heel: 5 gocce due volte al giorno per i 5 giorni precedenti la vaccinazione (non il giorno stesso della vaccinazione e il successivo, in cui invece verrà dato Sulphur), e poi per altri 5 giorni iniziando il giorno successivo alla seconda dose di Sulphur.
SULPHUR 30CH: 5 gocce o 3-4 granuli il giorno della vaccinazione, poco prima che venga effettuata e il mattino seguente.
THUJA 30CH: 5 gocce o 3-4 granuli una volta al giorno al mattino a giorni alternati, iniziando 48 ore dopo la seconda dose di Sulphur, per un totale di almeno 6 somministrazioni (nei giorni in cui coincide con la somministrazione di Galium questo verrà dato solo una volta saltando la somministrazione del mattino).
In caso di reazione febbrile è meglio evitare antipiretici.
È importante tenere nota di eventuali reazioni, fenomeni insoliti o alterazioni dello stato di salute successivi alla vaccinazione, anche a distanza di tempo e informarne il medico che vi consiglierà gli opportuni provvedimenti.

2 – Una al giorno di ognuno, dopo i pasti, continua anche prima e dopo seconda dose, lavorando in sinergia non serve seguire i dosaggi prescritti:
NAC 750 (se NAC 750 non si trova, prendi il 600 e poi dividi una capsula in 4 e fai tu il 750)
DESMODIUM
BROMELINA
Zinco e Selenio (servono anche per prevenzione)

Quarta ghinea
La quarta ghinea è la capacità di non perdere la creatività né la voglia di ridere, che fanno tanto bene alle difese immunitarie.

Vi lascio, allora, con una canzoncina e soprattutto con l’invito a moltiplicare le ghinee fino a crearne una tempesta sotto cui seppellire tutti i difensori ipocriti della vita.

Da quasi un secolo abbiamo chiaro, come femministe, che le famose “tre ghinee” non possono bastare, con buona pace di Virginia…

cov.it

Ho attraversato l’esperienza del covid.
A voler credere alla narrazione unica dominante, io dovrei essere in intensiva, se non già in una bara, in quanto paziente oncologica, non vaccinata ed esentata dal siero e pure ultracinquantenne.
E invece sono qui: più vispa che mai, con le energie decuplicate.

Il mio è stato, mi vien da dire, un fast-covid.
Un solo giorno di febbre a 38, che ho accolto come sana reazione del mio sistema immunitario all’attacco del virus.
Niente medicinali allopatici, ma solo rimedi naturali e vitamine – alcuni già li prendevo per prevenzione, altri me li ha indicati ad hoc il mio antroposofo storico.

E che non mi si dica anche questa volta che il mio è stato un miracolo, come mi son già sentita dire rispetto al cancro, perché stavolta mi arrabbio davvero!
Non si chiama miracolo, ma autodeterminazione.

Proviamo, allora, a ragionare sui dati di fatto: mangio bene e sano, non mi imbottisco di medicine allopatiche ma, soprattutto, non sono caduta nel trappolone della paura che cercano di incuterci da due anni in qua e che ha abbassato le difese immunitarie di molte persone.

Ho anche toccato con mano il fatto che nessuno, né il medico di base né la asl che ti manda mail di default dopo l’esito positivo del tampone, mostra alcun interesse rispetto alla nostra salute. Né medico né asl mi hanno mai chiamata per sapere come stessi, se e come mi stessi curando, ecc.
Va benissimo così per una come me che sa autogestirsi – anzi: meglio! – ma ho pensato tanto alle persone sole, magari senza strumenti culturali, magari anziane e/o fiduciose in una medicina che si è sviluppata studiando i corpi morti e non quelli viventi e che ha mandato sul rogo le streghe per liberarsi di pericolose concorrenti.

Ci tartassano di dati sui contagi e sui morti (di covid, ovviamente, le altre morti non contano nulla), rispolverano il dizionario patriarcale del peggior colonizzatore per dare del selvaggio – da civilizzare! – e credulone – da ricondurre alla ‘giusta’ e unica fede! – a chi assume vitamine e medicine naturali e rifiuta il loro ‘magico siero della felicità’ e nel frattempo continuano a far crepare di ‘vigile attesa’ o di abbandono totale.
Tanto poi la colpa la riversano sulla categoria lombrosiana dei no-vax, creata per rinforzare la loro narrazione, dissimulare le loro gravi responsabilità e propinare ad oltranza inutili (ormai lo ammettono anche loro: la nave sta affondando!) sieri transgenici.
Esibiscono come trofei i morti non vaccinati e i ‘no vax’ pentiti, mentre occultano i dati sui morti di vaccino o di malasanità.

Se, quindi, prima di prendere il covid ero profondamente scettica e diffidente rispetto alla narrazione unica di politici e virologi superstar, oggi mi sento di dire apertamente che quella narrazione è davvero frutto di una logica criminale!

Ma siccome non intendo farmi avvelenare da questa gentaglia e dal loro infame sistema di premi e punizioni, voglio riportare altri aspetti positivi della mia esperienza.
Prima di tutto l’importanza del continuo contatto con compagne/i per scambiarci consigli sui protocolli naturali che ciascuna/o aveva adottato e su come riuscire a non spendere troppo per procurarsi quei medicamenti, scambiarci anche consigli sull’alimentazione e al contempo stare vicino a chi si si stava facendo il covid in solitudine e tenerlo/a monitorato/a. Una capacità di autogestione collettiva e di solidarietà – quella vera, non quella che ora dall’alto millantano per cancellare ogni possibilità di scelta individuale – che mi ha scaldato il cuore. Sembrava di esser tornata negli anni ’70!

Insomma, devo dirlo fuori dai denti: per me il covid è stata una bella esperienza!
La febbre mi ha anche aiutata ad espellere le tossine accumulate con la rabbia di questi due anni di pandelirio – non per caso alla febbre è seguito un orzaiolo che se n’è andato dopo tre giorni, liberandomi anche da tutte le schifezze che i miei occhi hanno dovuto vedere e leggere per mesi…

Sia chiaro: se per me è stata una passeggiata, sono anche consapevole che c’è chi sta male, a volte anche tanto male. Ma occorre chiedersi perché questo succeda, se ne vogliamo davvero uscire.

Per questo, lo ripeto, non mi si dica di nuovo che il mio è un miracolo.
Ho dovuto lottare duramente perché mi fosse riconosciuta l’esenzione dal vaccino da parte di medici sconosciuti che, negli hub vaccinali, pretendevano di farmi l’anamnesi per stabilire se io potessi o meno esser vaccinata, malgrado presentassi un esplicito certificato da parte di chi da anni mi accompagna nel percorso di guarigione.
Ho dovuto lottare perché nessuno provasse anche solo lontanamente a toccare il mio sistema immunitario.
Ho dovuto lottare per difendere la mia salute dagli interessi economici del capitale.
Ho dovuto lottare perché uno stato implicato fino al midollo – con tanti altri – nella ricerca bellica sulle armi biologiche, non mi facesse cavia fra le sue cavie.
Ho dovuto lottare e mi sono avvelenata di rabbia, ma non sono retrocessa di un passo.

“Ah, ma che dire dei soggetti fragili? Li dobbiamo lasciar morire?”, chiederà qualche anima bella…
Proprio ieri raccontavo per email la mia esperienza di covid ad alcuni medici antroposofici e stamattina uno di loro mi ha risposto segnalandomi un articolo (in fase, credo, di peer reviewing; qui l’abstract) sull’esperienza col covid di un gruppo di pazienti oncologici che seguono la mia stessa terapia col vischio.

È lampante che non si tratti di miracolo!
L’unico miracolo sarebbe se finalmente queste terapie non convenzionali diventassero alla portata di tutti, venendo riconosciute da un sistema sanitario più attento agli interessi delle multinazionali farmaceutiche che non a quelli dei/delle pazienti – per altro i costi di tale terapie son pure molto più contenuti di quelle allopatiche.
Ma qui abbiamo avuto la signora Lorenzin e ora abbiamo il signor Speranza: c’è poco da sperare!

Non resta che continuare a lottare e ad autodeterminarci se vogliamo davvero vivere e non limitarci a sopravvivere per miracolo… Soprattutto con la consapevolezza che la prossima emergenza – già pronta e confezionata – sarà l’emergenza ambientale, che il capitale ha generato depredando e devastando per secoli il pianeta ma che farà pagare a chi questo pianeta lo abita con rispetto ed empatia.

Una testimonianza dal ventre della “bestia sanitaria” (parte I)

Per supportare l’estensione del lasciapassare chiamato eufemisticamente ’green pass’ in tutti i luoghi di lavoro, il 15 ottobre scorso Radio 3 ha trasmesso l’audio, risalente al marzo 2020, del trasporto delle bare dei morti di covid-19 coi camion militari, a Bergamo.

La scelta di rievocare scene rimaste profondamente impresse nell’immaginario italiano per mantenere scientemente il clima di terrore ‘pandemico’, mi ha fatto ripensare a ciò che avevo scritto su Krisis:

Mai come in quei giorni la popolazione era stata ridotta ad un «problema al contempo scientifico e politico». Mai come in quei giorni, d’altra parte, il «processo d’esclusione progressiva della morte» – che dalla fine del XIII secolo ne aveva trasformata la ritualizzazione pubblica in qualcosa di privato, nascosto, vergognoso – andava trasformandosi nella sua spettacolarizzazione mediatica.
I morti – negati ai loro cari per un ultimo saluto – assumevano lo stesso ruolo dei cadaveri degli schiavi fuggiaschi o dei partigiani: esibiti per terrorizzare e confermare l’onnipotenza del potere. Solo che, questa volta, i cadaveri erano virtualizzati, come ormai l’intera vita relazionale, e
transustanziati in estenuanti elenchi quotidiani di numeri o di lunghe file di mezzi militari convertiti a carri funebri collettivi.
Alludendo senza mostrare, «il più freddo di tutti i mostri» – lo Stato – sanciva quella «antinomia centrale della nostra ragione politica» che consiste nella «coesistenza, nelle strutture politiche, di meccanismi di distruzione su larga scala e di istituzioni orientate alla cura della vita degli individui». In sostanza, ribadiva il proprio potere di vita e di morte, specchio del legame tra
biopolitica e tanatopolitica. Sarà forse per questo che analoga enumerazione quotidiana non viene fatta quando si tratta di morti per cancro? E che per intere settimane i media mainstream hanno parlato solo di covid facendo scomparire le guerre in atto che ci vedono coivolti con contingenti militari o come venditori di armi?

Pochi giorni dopo, lo scorso 18 ottobre, è stata sancita a livello istituzionale la “non correlazione” tra la strage di anziani/e alla “Baggina” di Milano e la gestione scriteriata e criminale della sanità in Lombardia – e, direi, in tutta la penisola.

Per non dimenticare e per impedire che la narrazione dominante venga sovrascritta sulla nostra memoria critica, ho recentemente intervistato un’infermiera che all’epoca lavorava in una Rsa del nord-est.
Il suo racconto, diretta testimonianza dal ventre della “bestia sanitaria”, non ha bisogno di commenti, tanto è limpido nell’esprimere l’abisso tra l’arrogante e disumana gestione dall’alto – con le sue militaresche task forces – e l’etica di chi quotidianamente ha davvero a che fare coi corpi, con le malattie, con la vecchiaia.

Qui potete ascoltare la prima parte dell’intervista. A breve ne pubblicherò la seconda parte.

Autodeterminiamo l’informazione e la prevenzione

Prevenire è meglio che curare, dice un vecchio proverbio quanto mai attuale…

Un buon sistema immunitario è la prima garanzia per il mantenimento della propria salute, soprattutto se capiamo a fondo che il nostro sistema immunitario siamo, in primis, noi stesse e non qualcosa che è altro da noi. Cerchiamo allora di partire dal covid per andare oltre e ritrovare noi stesse e le nostre difese immunitarie.

Non sono medico né operatrice sanitaria e non intendo improvvisarmi ‘esperta’ di alcunché: mi è sufficiente esserlo di me stessa!

Le informazioni che trovate in questo post provengono da saperi, pratiche ed esperienze consolidati (talvolta millenari!) ma censurati, quando non apertamente derisi, dalla narrazione dominante al solo scopo di ingrassare i portafogli delle big pharma e dei loro fedeli servitori.

Di seguito troverete Guarire dalla paura: il racconto di «un’infermiera, che vive in una valle piemontese, e che nell’ultimo anno e mezzo si è spesa senza sosta – insieme a diversi colleghi e colleghe – nel cercare di dare una mano a chi, ammalatosi di covid, si è trovato abbandonato dal servizio sanitario nazionale», e che ha salvato molte persone applicando il protocollo di cura di IppocrateOrg.

Troverete anche il punto di vista di alcune cosiddette medicine non convenzionali.
Chi pensa che si tratti di ciarlatani/e, smetta immediatamente di leggere e vada pure da Burioni & C. E buona fortuna!

Nel sito di Nunatak trovate estratti dal numero 61 che riguardano l’intervista Guarire dalla paura (registrata e trascritta), nonché il “protocollo di prevenzione e cura” stilato da una naturopata e pubblicato sullo stesso numero della rivista.

Consiglio anche la lettura del «Manifesto per la salute, la prevenzione proattiva e una medicina della persona in tempi di Covid-19», stilato dalle principali associazioni di Medicina complementare.

Dalla medicina antroposofica, una riflessione della dott. Maria Luisa Di Summa e un video del dott. Zavattaro.

La metodologia clinica omoeopatica nel covid-19.

L’approccio della medicina ayurvedica, ampiamente utilizzata in India – ma non solo – anche nella prevenzione e cura del covid.

L’approccio della fitoterapia in un articolo del dott. Firenzuoli (del Centro di fitoterapia di un ospedale pubblico, da non credere che non l’abbiano ancora massacrato mediaticamente!!!!) e le indicazioni fitoterapiche per rafforzare il sistema immunitario.

Inutile dire che ciascuna deve scegliere la strada che più le corrisponde, che è inutile inventarsi mescoloni tra i vari approcci – comportamento che è chiaro sintomo di paura – e, soprattutto, che il punto di partenza è la consapevolezza di sé, senza la quale non si va da nessuna parte e si rischia solo di nuocere a noi stesse.

Non dimentichiamoci mai che…

Il testo – che nulla ha a che vedere col covid, ma molto col patriarcato – si può scaricare da qui