Una testimonianza dal ventre della “bestia sanitaria” (parte I)

Per supportare l’estensione del lasciapassare chiamato eufemisticamente ’green pass’ in tutti i luoghi di lavoro, il 15 ottobre scorso Radio 3 ha trasmesso l’audio, risalente al marzo 2020, del trasporto delle bare dei morti di covid-19 coi camion militari, a Bergamo.

La scelta di rievocare scene rimaste profondamente impresse nell’immaginario italiano per mantenere scientemente il clima di terrore ‘pandemico’, mi ha fatto ripensare a ciò che avevo scritto su Krisis:

Mai come in quei giorni la popolazione era stata ridotta ad un «problema al contempo scientifico e politico». Mai come in quei giorni, d’altra parte, il «processo d’esclusione progressiva della morte» – che dalla fine del XIII secolo ne aveva trasformata la ritualizzazione pubblica in qualcosa di privato, nascosto, vergognoso – andava trasformandosi nella sua spettacolarizzazione mediatica.
I morti – negati ai loro cari per un ultimo saluto – assumevano lo stesso ruolo dei cadaveri degli schiavi fuggiaschi o dei partigiani: esibiti per terrorizzare e confermare l’onnipotenza del potere. Solo che, questa volta, i cadaveri erano virtualizzati, come ormai l’intera vita relazionale, e
transustanziati in estenuanti elenchi quotidiani di numeri o di lunghe file di mezzi militari convertiti a carri funebri collettivi.
Alludendo senza mostrare, «il più freddo di tutti i mostri» – lo Stato – sanciva quella «antinomia centrale della nostra ragione politica» che consiste nella «coesistenza, nelle strutture politiche, di meccanismi di distruzione su larga scala e di istituzioni orientate alla cura della vita degli individui». In sostanza, ribadiva il proprio potere di vita e di morte, specchio del legame tra
biopolitica e tanatopolitica. Sarà forse per questo che analoga enumerazione quotidiana non viene fatta quando si tratta di morti per cancro? E che per intere settimane i media mainstream hanno parlato solo di covid facendo scomparire le guerre in atto che ci vedono coivolti con contingenti militari o come venditori di armi?

Pochi giorni dopo, lo scorso 18 ottobre, è stata sancita a livello istituzionale la “non correlazione” tra la strage di anziani/e alla “Baggina” di Milano e la gestione scriteriata e criminale della sanità in Lombardia – e, direi, in tutta la penisola.

Per non dimenticare e per impedire che la narrazione dominante venga sovrascritta sulla nostra memoria critica, ho recentemente intervistato un’infermiera che all’epoca lavorava in una Rsa del nord-est.
Il suo racconto, diretta testimonianza dal ventre della “bestia sanitaria”, non ha bisogno di commenti, tanto è limpido nell’esprimere l’abisso tra l’arrogante e disumana gestione dall’alto – con le sue militaresche task forces – e l’etica di chi quotidianamente ha davvero a che fare coi corpi, con le malattie, con la vecchiaia.

Qui potete ascoltare la prima parte dell’intervista. A breve ne pubblicherò la seconda parte.