Seveso. A 45 anni dal “crimine di pace”

Quest’anno per l’anniversario di Seveso è prevista una serie di iniziative a cui parteciperò anch’io come militante ma anche come testimone, visto che all’epoca abitavo in un paesello limitrofo e che, negli anni, ho visto tanta gente intorno a me morire di cancro, inclusi i miei genitori.

Mantenere viva la memoria di quel “crimine di pace” è fondamentale per avere uno sguardo lucido sul presente e sulle persistenti ipocrisie istituzionali.

Questo il programma:

Per chi volesse capire/ricordare/approfondire, segnalo questa importante pagina del Comitato No Pedemontana da cui è possibile scaricare sia il numero speciale di «Sapere» del novembre/dicembre 1976, nonché il dossier «Seveso, una tragedia italiana»; segnalo anche il podcast di Seveso come un’infanzia, di RadioCane.

Ricordo inoltre che nel 2007 il collettivo Maistat@zitt@, di cui facevo parte, organizzò un incontro a Milano dal titolo Topo Seveso. Produzioni di morte, nocività e difesa ipocrita della vita, più che mai attuale di fronte alle menzogne che ci sono state propinate nell’ultimo anno in nome dalla “pandemia”.

Ci vediamo a Seveso il 10 luglio per ritrovare, dopo decenni, le voci delle donne raccolte da Marcella Ferrara nel libro Le donne di Seveso e ricordare tutte le bambine e i bambini la cui infanzia è stata devastata dalla diossina e dagli interessi del capitale.

Immagine da Quarant’anni di veleni: la diossina, i tumori e gli spettri di Seveso

¿Dónde está Santiago?

Santiago-MaldonadoDiversi artisti hanno composto una canzone – ¿Dónde está Santiago? – per far conoscere al mondo la vicenda di Santiago Andrés Maldonado, “desaparecido” della democrazia argentina da oltre un mese. Il “patto di silenzio” tra governo e gendarmeria sulla sparizione di Santiago ci dice molto del capitalismo neocoloniale e neoliberista e dei suoi cani da guardia – come molto ci dicono gli intrallazzi del governo argentino col boia sionista Netanyahu.

2Inutile dire che di questo gravissimo fatto in Italia si sa poco-nulla, dato che di mezzo c’è l’immancabile gruppo Benetton, in prima linea nel lento genocidio della popolazione indigena Mapuche – il Popolo (che) della Terra (mapu) che da oltre un secolo lotta per riavere indietro i territori che gli sono stati sottratti dai governi argentini e cileni – in Patagonia, per mano di gruppi militari e paramilitari.  La famiglia Benetton è, infatti, il più grande gruppo proprietario terriero in Argentina, possiede circa 900.000 ettari di campo nelle provincie di Benetton_Chubut_-_Territorio_Mapuche_RecuperadoChubut, Rio Negro, Buenos Aires e Santa Cruz. Quelle terre, espropriate ai loro abitanti ancestrali, vengono deforestate e ridotte a pascolo per le migliaia e migliaia di pecore che diventeranno, poi, quei “bei” maglioncini, che grondano sangue indigeno, esposti nelle vetrine dei negozi Benetton.

Santiago Maldonado è “desaparecido” proprio quando, all’inizio di agosto a Cushamen, nel nord-est della provincia di Chubut, manifestava con un gruppo di Mapuche  in difesa del territorio e per chiedere la liberazione di Facundo Jones Huala, attivista della RAM (Resistencia Ancestral Mapuche) incarcerato in quanto figura di spicco nelle occupazioni delle terre appartenenti alla famiglia Benetton.

Come spiega un interessante articolo pubblicato su Resumen latinoamericano riportando le parole di Walter Barraza, del popolo tonokote, di Néstor Jerez, del popolo Ocloya e di Néstor Gabriel Velázquez, del popolo Guaraní – Lo scenario della repressione nella quale è avvenuta la sparizione forzata di Santiago Maldonado è il territorio delle comunità indigene, che sono costantemente vessate dai proprietari terrieri e dalle aziende impegnate nel settore minerario e in quelli della deforestazione e del petrolio, dal progressivo avanzare della frontiera dell’allevamento. […] “C’è una differenza abissale [tra terra e territorio]“, spiega il camache Barraza. “La terra parla di proprietà privata, è un concetto mercantilistico e, invece, il territorio ci include come persone, quindi ci obbliga a curare la natura. Noi nativi viviamo in armonia con i fratelli animali, le piante, l’acqua; siamo parte del territorio, che ci dà tutto quello di cui abbiamo bisogno. Deforestare è come amputare. La cultura occidentale ha un altro modo di vedere. Loro vengono per le risorse naturali, mentre noi viviamo in armonia con quelle risorse”. Continue reading

Una brutta abitudine: dire la verità…

Quando ci fu la fuoruscita del triclorofenolo di diossina dall’Icmesa di Seveso, il 10 luglio 1976, la notizia venne tenuta nascosta per una settimana. In quell’arco di tempo, i bambini e le bambine continuarono a giocare nei giardini lì intorno, mentre le madri cucinavano i conigli e i polli allevati in cortile, con contorno di verdure dell’orto.

All’epoca abitavo in un piccolo paese limitrofo a Seveso e ricordo, nei mesi successivi, i controlli – a mia madre chiedevano come stessero i nostri gatti… – e le paure; poi, in men che non si dica, la vita riprese come prima e dove c’era l’Icmesa venne creato il “Bosco delle querce”, vennero dato dei risarcimenti e tutto fu messo a tacere. Dicevano solo che, passando sulla superstrada lì davanti, era bene tenere chiusi i finestrini. Negli anni che seguirono, in tutta quella zona i casi di cancro si decuplicarono, ma il tempo trascorso rendeva difficile collegare i fatti tra loro…
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