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Ho attraversato l’esperienza del covid.
A voler credere alla narrazione unica dominante, io dovrei essere in intensiva, se non già in una bara, in quanto paziente oncologica, non vaccinata ed esentata dal siero e pure ultracinquantenne.
E invece sono qui: più vispa che mai, con le energie decuplicate.

Il mio è stato, mi vien da dire, un fast-covid.
Un solo giorno di febbre a 38, che ho accolto come sana reazione del mio sistema immunitario all’attacco del virus.
Niente medicinali allopatici, ma solo rimedi naturali e vitamine – alcuni già li prendevo per prevenzione, altri me li ha indicati ad hoc il mio antroposofo storico.

E che non mi si dica anche questa volta che il mio è stato un miracolo, come mi son già sentita dire rispetto al cancro, perché stavolta mi arrabbio davvero!
Non si chiama miracolo, ma autodeterminazione.

Proviamo, allora, a ragionare sui dati di fatto: mangio bene e sano, non mi imbottisco di medicine allopatiche ma, soprattutto, non sono caduta nel trappolone della paura che cercano di incuterci da due anni in qua e che ha abbassato le difese immunitarie di molte persone.

Ho anche toccato con mano il fatto che nessuno, né il medico di base né la asl che ti manda mail di default dopo l’esito positivo del tampone, mostra alcun interesse rispetto alla nostra salute. Né medico né asl mi hanno mai chiamata per sapere come stessi, se e come mi stessi curando, ecc.
Va benissimo così per una come me che sa autogestirsi – anzi: meglio! – ma ho pensato tanto alle persone sole, magari senza strumenti culturali, magari anziane e/o fiduciose in una medicina che si è sviluppata studiando i corpi morti e non quelli viventi e che ha mandato sul rogo le streghe per liberarsi di pericolose concorrenti.

Ci tartassano di dati sui contagi e sui morti (di covid, ovviamente, le altre morti non contano nulla), rispolverano il dizionario patriarcale del peggior colonizzatore per dare del selvaggio – da civilizzare! – e credulone – da ricondurre alla ‘giusta’ e unica fede! – a chi assume vitamine e medicine naturali e rifiuta il loro ‘magico siero della felicità’ e nel frattempo continuano a far crepare di ‘vigile attesa’ o di abbandono totale.
Tanto poi la colpa la riversano sulla categoria lombrosiana dei no-vax, creata per rinforzare la loro narrazione, dissimulare le loro gravi responsabilità e propinare ad oltranza inutili (ormai lo ammettono anche loro: la nave sta affondando!) sieri transgenici.
Esibiscono come trofei i morti non vaccinati e i ‘no vax’ pentiti, mentre occultano i dati sui morti di vaccino o di malasanità.

Se, quindi, prima di prendere il covid ero profondamente scettica e diffidente rispetto alla narrazione unica di politici e virologi superstar, oggi mi sento di dire apertamente che quella narrazione è davvero frutto di una logica criminale!

Ma siccome non intendo farmi avvelenare da questa gentaglia e dal loro infame sistema di premi e punizioni, voglio riportare altri aspetti positivi della mia esperienza.
Prima di tutto l’importanza del continuo contatto con compagne/i per scambiarci consigli sui protocolli naturali che ciascuna/o aveva adottato e su come riuscire a non spendere troppo per procurarsi quei medicamenti, scambiarci anche consigli sull’alimentazione e al contempo stare vicino a chi si si stava facendo il covid in solitudine e tenerlo/a monitorato/a. Una capacità di autogestione collettiva e di solidarietà – quella vera, non quella che ora dall’alto millantano per cancellare ogni possibilità di scelta individuale – che mi ha scaldato il cuore. Sembrava di esser tornata negli anni ’70!

Insomma, devo dirlo fuori dai denti: per me il covid è stata una bella esperienza!
La febbre mi ha anche aiutata ad espellere le tossine accumulate con la rabbia di questi due anni di pandelirio – non per caso alla febbre è seguito un orzaiolo che se n’è andato dopo tre giorni, liberandomi anche da tutte le schifezze che i miei occhi hanno dovuto vedere e leggere per mesi…

Sia chiaro: se per me è stata una passeggiata, sono anche consapevole che c’è chi sta male, a volte anche tanto male. Ma occorre chiedersi perché questo succeda, se ne vogliamo davvero uscire.

Per questo, lo ripeto, non mi si dica di nuovo che il mio è un miracolo.
Ho dovuto lottare duramente perché mi fosse riconosciuta l’esenzione dal vaccino da parte di medici sconosciuti che, negli hub vaccinali, pretendevano di farmi l’anamnesi per stabilire se io potessi o meno esser vaccinata, malgrado presentassi un esplicito certificato da parte di chi da anni mi accompagna nel percorso di guarigione.
Ho dovuto lottare perché nessuno provasse anche solo lontanamente a toccare il mio sistema immunitario.
Ho dovuto lottare per difendere la mia salute dagli interessi economici del capitale.
Ho dovuto lottare perché uno stato implicato fino al midollo – con tanti altri – nella ricerca bellica sulle armi biologiche, non mi facesse cavia fra le sue cavie.
Ho dovuto lottare e mi sono avvelenata di rabbia, ma non sono retrocessa di un passo.

“Ah, ma che dire dei soggetti fragili? Li dobbiamo lasciar morire?”, chiederà qualche anima bella…
Proprio ieri raccontavo per email la mia esperienza di covid ad alcuni medici antroposofici e stamattina uno di loro mi ha risposto segnalandomi un articolo (in fase, credo, di peer reviewing; qui l’abstract) sull’esperienza col covid di un gruppo di pazienti oncologici che seguono la mia stessa terapia col vischio.

È lampante che non si tratti di miracolo!
L’unico miracolo sarebbe se finalmente queste terapie non convenzionali diventassero alla portata di tutti, venendo riconosciute da un sistema sanitario più attento agli interessi delle multinazionali farmaceutiche che non a quelli dei/delle pazienti – per altro i costi di tale terapie son pure molto più contenuti di quelle allopatiche.
Ma qui abbiamo avuto la signora Lorenzin e ora abbiamo il signor Speranza: c’è poco da sperare!

Non resta che continuare a lottare e ad autodeterminarci se vogliamo davvero vivere e non limitarci a sopravvivere per miracolo… Soprattutto con la consapevolezza che la prossima emergenza – già pronta e confezionata – sarà l’emergenza ambientale, che il capitale ha generato depredando e devastando per secoli il pianeta ma che farà pagare a chi questo pianeta lo abita con rispetto ed empatia.

E adesso parliamo di cancro, ma senza paura…

Con grande piacere segnalo una conferenza divulgativa di Corrado Bertotto sulle terapie antroposofiche per il cancro: Il Vischio e il Calore nella terapia oncologica (30.05.2020).
Bertotto è il medico che da quasi quattro anni mi sta accompagnando, con profondo rispetto della mia autodeterminazione, nel mio percorso di guarigione.

Nel corso di questi anni molte persone mi hanno contattata – per sé o per amiche e amici – per avere informazioni su questo mio percorso terapeutico col Viscum Album.

Per proteggere il mio spazio vitale ho cominciato, nel tempo, a sottrarmi a queste richieste perché mi rendevo conto sia dell’immane carico di sofferenza che mi veniva buttato addosso in una fase per me delicata, sia del carico di aspettative che c’era nei miei confronti, per quanto abbia sempre spiegato con chiarezza che ogni esperienza di malattia e di guarigione è individuale e fa parte della storia di ciascuna e ciascuno. Di conseguenza, sta a ciascuna/o scegliere la propria strada, con consapevolezza.

Io sono femminista, non una ‘miracolata’ che fa, a sua volta, i miracoli: lascio volentieri queste credenze a chi ha bisogno di una religione per andare avanti…

Non ha senso relazionarsi alle medicine ‘non convenzionali’ mettendo in atto lo stesso meccanismo di delega cui si è abituate/i con la medicina dominante (non chiamiamola ‘tradizionale’, per favore, perché è falso e fuorviante: ben altre sono le medicine tradizionali!!!).
Né, tanto meno, ci si dovrebbe rivolgere a questi percorsi terapeutici come ‘ultima spiaggia’ o come terapie miracolose, dopo aver verificato sulla propria pelle il fallimento delle terapie oncologiche allopatiche.

Ora, finalmente, con questa conferenza chi fosse interessata/o può sentire direttamente da Corrado Bertotto in cosa consistano queste terapie, quali ne siano i presupposti, quali gli studi scientifici che ne dimostrano l’efficacia e come possano eventualmente combinarsi anche con i protocolli terapeutici ‘ufficiali’ per migliorare la qualità della vita delle/dei pazienti.

Certo, queste terapie non sono gratuite, ma questo è un problema legato alle scelte politiche dei nostri governi e del SSN. Scelte che durante il ministero Lorenzin sono diventate ancora più scellerate, dato che sono stati utilizzati dei pretesti burocratici per tagliare le gambe alle medicine ‘non convenzionali’ e imporre come unico percorso possibile quello della medicina dominante. Se le chemioterapie si dovessero pagare direttamente, costerebbero molto di più delle terapie con vischio o altre non convenzionali!

La terapia con infusioni di vischio, che mi supporta nel percorso di autoguarigione con ottimi risultati, in Italia è vietata e quindi sono costretta ad andare periodicamente in Svizzera. In Italia è possibile soltanto l’assunzione del vischio sottocute ma, sempre grazie alla signora Lorenzin, non è facile trovarlo e occorre farselo spedire dalle farmacie d’Oltralpe.
Questo dice molto sugli interessi che stanno dietro ai protocolli terapeutici, interessi che molto spesso prevalgono su quello che dovrebbe essere l’unico obiettivo: la salute delle persone.
Non dimentichiamoci mai che il capitale non sfrutta solo le persone sane per trarne i suoi profitti, ma anche quella ammalate e perfino i morti!

La lotta per difendere la nostra autodeterminazione deve comprendere anche l’autodeterminazione delle scelte terapeutiche. Lamentarsi, come sempre, non serve a nulla…

Segnalo anche altro materiale utile e affidabile (tratto da Arte medica) per avere un quadro complessivo, così chiunque può informarsi direttamente e cercare la propria strada in autonomia senza doversi rivolgere a me: un articolo sulla stretta relazione tra cancro e paura, significativo anche in relazione alla ‘strategia del terrore’ che ha caratterizzato i discorsi dominanti sul covid in questi mesi; un’intervista al dott. Soresi sui processi di risanamento; alcune indicazioni alimentari del ‘mitico’ Berrino e, in ultimo, un estratto da Ritorno alla salute di Carl Simonton e Stephanie Matthews-Simonton, molto utile per la rete amicale/familiare e, più in generale, per le/i caregivers.

Per chi volesse approfondire ulteriormente le terapie con vischio e le relative ricerche, consiglio di mettere in un motore di ricerca ‘Mistletoe therapy’o ‘Mistletoe treatment’ (se legge l’inglese) o ‘Misteltherapie’ (se legge il tedesco).

Nel sito della SIMA si trovano tutti i contatti con i/le dott di formazione antroposofica in Italia.

Un’ultima cosa: per favore, mi si risparmino le immancabili polemiche su Rudolf Steiner. Cerchiamo, piuttosto, di portare alla luce la bellissima figura di Ita Wegman, che un secolo fa fece fabbricare la prima preparazione oncologica antroposofica a base di vischio di melo per curare le donne e molto si spese anche per salvare vite umane dal nazismo

Adesso basta!

Il tempo della reclusione “volontaria” avanza e si dilata a dismisura.

Quella che era stata spacciata per prevenzione si rivela essere, sempre più chiaramente, una tecnica di addomesticamento.
La prima, infatti, mette immediatamente in campo tutte le misure realmente efficaci, quindi necessarie, per anticipare ed evitare il diffondersi delle patologie; l’addomesticamento, invece, presuppone la gradualità dell’addestramento, fino ad ottenere la totale obbedienza e sottomissione.

Ci hanno infantilizzate/i in base ad un concetto distorto che vede i bambini non come esseri dotati di propria autonomia ma come figli su cui esercitare la propria autorità e ci hanno ammorbate/i con continui consigli su come trascorrere il nostro tempo blindato – cosa leggere, come scopare, cosa cucinare, come vestirsi, quanto dormire, cosa cantare e a che ora, come e quando lavarsi le mani, …
Hanno dispiegato apparati di controllo e repressione costosissimi – polizie, eserciti, droni, elicotteri, guardie costiere, telecamere, e varie altre amenità – contro chi “si permette” di fare un po’ di movimento all’aperto, di portare il proprio figlio a prendere un po’ d’aria, di salutare un’amica, di comprarsi una matita, di fermarsi per strada ad annusare un fiore, di guardare un tramonto, di commemorare le partigiane e i partigiani (ormai diventato un reato di “resistenza”) e perfino di sudare!
Hanno sollecitato la pratica infame della delazione ripescandola dal ventennio fascista e ora arrivano, con una rinnovata polizia dell’anima, a cercare di violare definitivamente la nostra intimità invadendo la nostra sfera relazionale e stabilendo chi potremo vedere e chi no nella pagliacciata che chiamano “fase 2″ – e che in realtà dovremmo chiamare “fase che 2 ovaie!” (grazie, Giò, per questo geniale detournement!).

Ed ecco riemergere il clerico-fascismo “mai morto” (proprio come suona il motto della X Mas!) che (im)pone al centro delle nostre vite ‘a famigghia: ci dicono che potremo vedere i parenti – se pure con misura e senza riunioni familiari. Ma guai se ci si incontra con chi pare a noi!

Adesso basta!

Nessuno riuscirà mai a disciplinarmi né ad immiserirmi in questa logica familista, di cui si nutre anche lo ius sanguinis!

Io voglio vedere le mie amiche, le mie compagne di vita, e le vedrò (una l’ho già riabbracciata, tiè!).

I miei genitori sono morti da decenni, grazie a questa “civiltà” cancerogena, e dei legami di parentela rimasti ne faccio volentieri a meno.

C’è, per me, una differenza fondamentale tra la parentela – che è casuale – e le relazioni che, invece, mi sono scelta e mi hanno nutrita negli anni, come c’è un abisso tra la vera sorella e la sorella vera.

Quando, nel 2016, ho attraversato l’esperienza del cancro e mi avevano pronosticato pochi mesi di vita, accanto a me ho voluto le mie compagne di vita e le mie relazioni autentiche. Non i parenti.
La forza di queste relazioni è stato uno degli elementi della mia guarigione – “guarigione miracolosa”, a detta dei medici.

A differenza dei preti, non credo nei miracoli ma nella forza dell’autodeterminazione, di quel grande dono che il movimento delle donne mi ha fatto quando ero adolescente!

Quella stessa autodeterminazione, che di fronte ad una prognosi infausta ha guidato le mie scelte terapeutiche, alimentari, lavorative, esistenziali e relazionali, oggi è più forte che mai.

Non mi sono fatta sovradeterminare dalla paura del cancro, non vedo perché dovrei farmi sovradeterminare da quella del covid, che cercano in tutti i modi di instillarci.

In Italia il cancro è la seconda causa di morte. Non lo dico io, ma le statistiche.
Quali governanti si sono mai preoccupati di rendere questa società meno cancerogena?
Nessuno. Perché la scelta è sempre tra il profitto e la vita altrui dal punto di vista del capitale, e tra il pane e la propria vita – intesa come qualità della vita e non come mera sopravvivenza – dal punto di vista del lavoro.

Nel 1976 abitavo accanto a Seveso e, come me, decine di migliaia di persone. Andassero a vedere l’incidenza del cancro in chi abitava o ancora abita quelle zone, lor signori che oggi pretendono “in nome dalla scienza” di decidere al posto nostro cosa sia “salutare” e cosa no.
E a cosa è servita la “direttiva Seveso”? La riposta è a Taranto, nella “terra dei fuochi”, a Carrara e in numerose altre zone di questo paese, così come in questo intero pianeta spolpato dai predatori – come direbbe Toni Morrison – e da quegli stessi predatori avvelenato.

La mia laica pietas non può essere solo nei confronti dei morti per covid-19, per altro causati in gran parte dall’inettitudine, dagli intrallazzi e dalle politiche dei vari governi locali e nazionali – si veda il caso dello sterminio di anziani nelle Rsa.

La mia laica pietas ha urlato davanti all’impossibilità di abbracciare per l’ultima volta un caro amico in fin di vita – non per covid, perché si continua a morire anche per altre ragioni sia chiaro!
Mai come davanti alla sua morte ho sentito il peso di questa reclusione forzata che diventa lontananza straziante dagli affetti e dalla condivisione anche del dolore e del lutto, che sono la cifra dell’umano.

Allora si fottano lor signori col loro linguaggio bellico di fronte alle malattie.
Per me nemmeno il cancro è stato un nemico da combattere, ma un modo in cui il mio corpo chiedeva di essere ascoltato e, al contempo, indicava i veri nemici nei predatori e negli avvelenatori della terra.

E si fottano ancor più, lor signori, con le loro direttive e con l’insopportabile ed ipocrita arroganza di stabilire per me quale sia “il mio bene”.

Il mio bene è autogestire la mia salute. Il mio bene è tornare ad abbracciare le mie amiche, a condividere con le mie compagne di vita. Il mio bene è annusare il profumo della primavera e contemplare le montagne. Il mio bene è continuare a lottare contro l’ingiustizia sociale. Il mio bene è nella mia etica e nelle mie relazioni.

Sono femminista. Mettetevelo bene in testa: la vita è mia e me la gestisco io!