Sorridiamo, donne: arrivano le bombe!

Da che la Francia, per vendicarsi degli attentati di Parigi, ha cominciato a bombardare Raqqa, “capitale” del cosiddetto stato islamico, sui media on line compaiono articoli che raccontano di donne che “sorridono alle bombe”, perché finalmente possono scoprirsi il volto e i capelli, mentre i Daesh fuggono per salvarsi la pelle.

Un giornale scrive: «Le incursioni degli aerei da guerra rappresentano per loro un momento di pace, di gioia: mentre gli uomini di Al Baghdadi fuggono, atterriti dagli attacchi, loro, le donne dei civili, corrono a prendere una boccata d’aria. Il velo però lo lasciano nel buio delle loro case semidistrutte: la libertà merita di essere assaporata a volto scoperto».

«Le donne dei civili», avete letto bene! Non «le donne» e punto, perché anche alle nostrane latitudini proliferano la mentalità da sultani e la cultura dello stupro, e una donna è sempre “la donna di qualcuno”.

Ma, al di là di ciò, che le bombe rappresentino un momento di pace, di gioia e di libertà non riusciranno mai a farmelo credere.

Di fondo, stanno riciclando la stessa formula con cui, nel 2001, hanno provato a renderci complici della guerra in Afghanistan: usare la retorica della liberazione delle donne dal burqa per accattivarsi le simpatie femministe… Continue reading

Donne di Shengal, un anno dopo

Ricorre oggi il primo anniversario del genocidio di donne e uomini yezidi a Shengal (Sinjar), nel Kurdistan irakeno, per mano degli stupratori e massacratori di ISIS.

Fu solo grazie all’intervento dell’HPG (alias, il PKK) e delle guerrigliere delle YJA Star che venne aperto un corridoio di sicurezza per permettere alla popolazione yezida – scampata al massacro e ai rapimenti – di mettersi in salvo.

Nel video della cantante kurda Tara Mamedova, rivediamo quella tragedia impressa nei volti delle donne in fuga da Shengar.

Durante l’anno trascorso da allora, sempre più donne yezide sono entrate a far parte della guerriglia, in Unità di (auto)difesa esclusivamente di donne: le YPJ-Shengal.

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25 novembre postvittimista

da Retekurdistan

UIKI: Insieme contro il femminicidio!
Viva la lotta organizzata delle donne nel Rojava

Il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il nostro pensiero
è rivolto alle lotte per la libertà per tutte le donne, per la democrazia e per l’uguaglianza sociale.
Il 25 novembre 1960 le tre sorelle Mirabal, attiviste per i diritti delle donne, che lottavano contro la dittatura di Trujillo, sono state crudelmente uccise nella Repubblica Dominicana. Ricordiamo loro e insieme a loro tutte le donne progressiste e rivoluzionarie con profondo rispetto.
Oggi, in un mondo che muta sempre più rapidamente, la violenza contro le donne prosegue, per niente diminuita. Un sistema basato sul dominio e sul potere ha fatto in particolare della donna e dei suoi valori specifici l’obiettivo centrale delle proprie pratiche di sfruttamento. Il sistema capitalista porta l’umanità in un processo di scontri senza fine e per questo si serve di strutture statuali ad esso assoggettate. Il capitalismo con la sua logica di profitti senza limiti, per espandersi, oggi sostiene sistemi e gruppi in particolare nel Medio Oriente, ma non solo, che vogliono cancellare i diritti delle donne, delle varie religioni e di tutte le diversità.
Le bande di IS, che disprezzano l’umanità e le donne, che dicono di sé di essere parte dell’opposizione siriana, vengono appoggiate logisticamente e a livello organizzativo da paesi europei, dalla Turchia, ma anche da stati come Arabia Saudita e Qatar. Non ci sono numeri precisi, ma da agosto a Shengal in Iraq migliaia di donne curde-yezide, turcomanne e di altre comunità sono state rapite dalle bande di IS. Donne che vengono violentate e vendute al mercato degli schiavi, pratiche che vanno oltre la nostra idea di Medioevo. Il gruppo che si definisce fratello di IS, Boko Haram, in Nigeria ad aprile ha rapito 276 studentesse e le ha costrette a matrimoni forzati con componenti del gruppo.

La violenza contro le donne viene perseguita in modo sempre più simile e sistematico in ogni continente

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“Trasformare la tragedia in lotta”

Riporto alcune importanti riflessioni di Nazanín Armanian – giornalista iraniana, rifugiata a Barcellona – sugli stupri di guerra.

Ne approfitto per segnalare, dal punto di vista postvittimista, come alcune donne yazidi stiano “trasformando la tragedia in lotta”, unendosi alle guerrigliere kurde, talvolta sollecitate anche dalle madri.
Ne potete leggere le testimonianze qui e qui. Approfondimento sulle donne di Rojava che hanno rotto le loro catene  (I parte, II parte).

Marines, Jahadisti  e stupri di guerra
di Nazanín Armanian

Il dispiego militare Usa in Medio Oriente ha aumentato la richiesta di schiave sessuali e il commercio di donne nella regione. Mentre l’Isis inaugura la guerra santa del sesso.
 
Le donne irachene, siano esse musulmane, cristiane, ebree o atee, non avevamo mai sentito il termine Yihad Al-Nikah, “Guerra Santa del sesso”. È  l’ “appello” dello Stato islamico dell’Iraq e de Levante (Isis) alle donne non sposate delle città conquiste ad offrirsi “volontariamente” ai ribelli per trasformarsi in schiave sessuali attraverso matrimoni a tempo determinato in cambio di generi di prima necessità. Un eufemismo per non dire prostituzione, proibita dall’Islam.

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Io sono una “terrorista”…

Mentre sui media mainstream del ricco Nord del mondo appaiono immagini di donne kurde combattenti che aiutano le/i profughi yazidi, il PKK continua ad essere considerato un’organizzazione terroristica.

Che operazione si cela dietro questo doppio gioco? Per offrire un paio di coordinate che aiutino a rispondere a questa domanda, lascio la parola direttamente alle compagne kurde.

Ieri

Io sono una “terrorista”. Così cominciava l’intervento che Hevi Dilara, militante kurda del PKK, fece a Roma l’8 novembre 2001, ad un mese dall’inizio della guerra in Afghanistan.

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