La strategia patriarcale della vittimizzazione

Segnalo dal blog dakobaneanoi.noblogs.org la traduzione di un interessante articolo di Dilar Dirik

La rappresentazione delle combattenti curde nei media

In seguito agli omicidi di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez, il 9 gennaio 2013 a Parigi, i media mainstream si sono improvvisamente concentrati su una questione a lungo trascurata quanto affascinante: il ruolo rilevante delle donne nel movimento di liberazione curdo.

Nel corso degli ultimi due anni, i curdi hanno preso il controllo sul Kurdistan occidentale (Rojava) e hanno gradualmente istituito strutture di autogoverno nel bel mezzo della guerra civile siriana. Fin dall’inizio, le donne sono state parti attive nella Rivoluzione del Rojava attraverso il loro impegno civile e politico, ma ciò che ha più colpito i media mainstream occidentali è stata l’identità delle donne che, come uguali militanti, combattono in guerra. Queste donne, che combattono contro il regime di Assad e contro i gruppi jihadisti, sottolineano ripetutamente che la loro è una lotta per la libertà su più fronti, come curde e come donne.

Anche se l’esistenza di combattenti donne è stata per decenni un elemento naturale della politica in Kurdistan, il mondo prende atto soltanto ora del forte ruolo delle donne all’interno del movimento di liberazione curdo. Soprattutto di recente, il movimento delle donne ha colpito l’immaginazione dei media mainstream in vari modi che vanno dal timore stupito all’orientalismo condiscendente, al sessismo vero e proprio.

Per continuare a leggere, vai nel blog da Kobane a noi

 

8 marzo: “Organizziamo la resistenza ovunque nel mondo le donne subiscano violenza”

Un 8 marzo rituale e senza idee: questo va prefigurandosi per l’ennesima volta.

Ne è dimostrazione il fatto che, nella provincialissima Italia, alcune campionesse di aria ai denti (e alle tastiere) hanno già cominciato a sprecare parole sulla coincidenza della ‘liberazione’ di Berlusconi con l’8 marzo – avendo, evidentemente, poco altro da dire o da proporre per quella giornata.

Fortunatamente, però, il mondo delle donne è un po’ più ampio e variegato, ed ecco che dalle compagne kurde arriva una proposta interessante – postivittimista, femminista e internazionalista –  che rilancio. E rilancio in particolare l’invito affinché, proprio come le combattenti delle YPJ, anche a queste latitudini si cominci a  trasformare ogni giorno nell’8 marzo – di lotta, non di tastiera!

«Per le donne in questo mondo non esiste sicurezza. Per questo le donne devono più che mai provvedere alla propria protezione e organizzare la loro autodifesa»

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Bastoni rossi contro la violenza maschile

Ho tradotto questo articolo da Firatnews perché l’ho trovato molto interessante. Non solo e non tanto perché ribadisce l’importanza dell’autodifesa femminista, quanto perché mostra come la potenza postvittimistica sprigionata dalle guerrigliere kurde si stia propagando anche altrove.
Buona lettura!

Autodifesa contro la violenza maschile: i bastoni rossi

ANF – ISTANBUL 2015/03/02 11:30:24

Le donne in Turchia continuano a combattere contro la violenza maschile.

Contro gli uomini che le molestano o che ricorrono alla violenza fisica non rimangono in silenzio: sviluppano metodi di autodifesa.

Diversi giorni fa, le donne sono scese in piazza a Istanbul per protestare contro la violenza sessuale. Un gruppo di donne ha portato dei bastoni rossi in corteo e alzandoli invitava le donne a sviluppare tecniche di autodifesa contro la violenza.

I bastoni rossi delle donne di Istanbul richiamavano quelli della Gulabi gang indiana – nota in Turchia come “le donne in rosa”– che non lasciano impunita la violenza maschile e forniscono alle donne uno strumento di difesa.
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25 novembre postvittimista

da Retekurdistan

UIKI: Insieme contro il femminicidio!
Viva la lotta organizzata delle donne nel Rojava

Il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il nostro pensiero
è rivolto alle lotte per la libertà per tutte le donne, per la democrazia e per l’uguaglianza sociale.
Il 25 novembre 1960 le tre sorelle Mirabal, attiviste per i diritti delle donne, che lottavano contro la dittatura di Trujillo, sono state crudelmente uccise nella Repubblica Dominicana. Ricordiamo loro e insieme a loro tutte le donne progressiste e rivoluzionarie con profondo rispetto.
Oggi, in un mondo che muta sempre più rapidamente, la violenza contro le donne prosegue, per niente diminuita. Un sistema basato sul dominio e sul potere ha fatto in particolare della donna e dei suoi valori specifici l’obiettivo centrale delle proprie pratiche di sfruttamento. Il sistema capitalista porta l’umanità in un processo di scontri senza fine e per questo si serve di strutture statuali ad esso assoggettate. Il capitalismo con la sua logica di profitti senza limiti, per espandersi, oggi sostiene sistemi e gruppi in particolare nel Medio Oriente, ma non solo, che vogliono cancellare i diritti delle donne, delle varie religioni e di tutte le diversità.
Le bande di IS, che disprezzano l’umanità e le donne, che dicono di sé di essere parte dell’opposizione siriana, vengono appoggiate logisticamente e a livello organizzativo da paesi europei, dalla Turchia, ma anche da stati come Arabia Saudita e Qatar. Non ci sono numeri precisi, ma da agosto a Shengal in Iraq migliaia di donne curde-yezide, turcomanne e di altre comunità sono state rapite dalle bande di IS. Donne che vengono violentate e vendute al mercato degli schiavi, pratiche che vanno oltre la nostra idea di Medioevo. Il gruppo che si definisce fratello di IS, Boko Haram, in Nigeria ad aprile ha rapito 276 studentesse e le ha costrette a matrimoni forzati con componenti del gruppo.

La violenza contro le donne viene perseguita in modo sempre più simile e sistematico in ogni continente

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Io sono una “terrorista”…

Mentre sui media mainstream del ricco Nord del mondo appaiono immagini di donne kurde combattenti che aiutano le/i profughi yazidi, il PKK continua ad essere considerato un’organizzazione terroristica.

Che operazione si cela dietro questo doppio gioco? Per offrire un paio di coordinate che aiutino a rispondere a questa domanda, lascio la parola direttamente alle compagne kurde.

Ieri

Io sono una “terrorista”. Così cominciava l’intervento che Hevi Dilara, militante kurda del PKK, fece a Roma l’8 novembre 2001, ad un mese dall’inizio della guerra in Afghanistan.

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Alcuni nessi concettuali tra ragione neocoloniale e violenza maschile contro le donne

Anche quest’anno la giornata contro la violenza maschile sulle donne è passata. L’immaginario vittimizzante non è mancato nemmeno questa volta, condito anche con un tocco kitsch.
Ma guardiamo al lato positivo: da oggi e per i prossimi 363 giorni si può ragionare al di là di sedimentate attitudini culturali.

Nelle scorse settimane mi ero decisa, dopo lungo tempo, a mettere in rete alcune mie riflessioni sul postvittimismo.
Ora vorrei fare un passaggio ulteriore. Anzi tre, come gli aggettivi con cui bell hooks connota il patriarcato: capitalista, suprematista, bianco.

Nel neocolonialismo individuo la sintesi di queste tre connotazioni e proverò a partire da qui, cioè dalla necessità che la lotta contro la violenza maschile sulle donne si coniughi – o torni a coniugarsi – con la critica di quella che possiamo definire ragione neocoloniale.

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