Ma che vadano a zappare!

In vista del dibattito parlamentare che si è tenuto ieri sull’agricoltura biologica, alcuni giorni fa è apparso nel mainstream un articolo di Giorgio Parisi in cui le norme sull’agricoltura biodinamica sono definite “assurde e incostituzionali”.
Di articoli contro l’agricoltura biodinamica – accusata di “magia” o “stregoneria” – il mainstream abbonda, ma la furia di Parisi si è scatenata, in quell’articolo, anche contro le terapie antitumorali antroposofiche con il vischio (per altro vietate in Italia ma utilizzate con successo in altri paesi): «Come siamo arrivati a questo punto? Il nostro Parlamento ha una passione per le teorie di Steiner? Forse apprezza la teoria steineriana che i vaccini sono dannosi […] o la sua proposta di curare i tumori con il vischio?».

Non solo, come ho già avuto modo di spiegare, le terapie col vischio sono state fondamentali nel mio processo di guarigione, ma col mio orto posso anche confermare che il metodo biodinamico è efficacissimo.

Senza, evidentemente, avere alcuna informazione al riguardo e armato di arroganza scientista il suddetto ha dunque sferrato un attacco complessivo ad una visione del mondo e della salute che non può né deve passare inosservato.

Avrei lasciato volentieri scivolare via le parole di Parisi (in linea col Mattarella-pensiero!) se non avessi percepito nella sua talebana presa di posizione la volontà sempre più diffusa e marcata di imporre una monocoltura della mente: «Le monocolture della mente cancellano la percezione della diversità e la diversità stessa. […] Passare alla diversità come modo di pensare e come contesto in cui agire, libera una molteplicità di scelte», scrive Vandana Shiva (1).

Il vero obiettivo dell’attacco è proprio la volontà di stroncare alla radice ogni possibile molteplicità di scelte, come stiamo verificando più che mai da due anni a questa parte.
Non deve sorprendere se il giorno prima di stralciare la biodinamica dal testo di legge sull’agricoltura biologica la stessa Camera dei deputati ha approvato il DdL che introduce la tutela della biodiversità nella Costituzione – tanto in quella stessa Costituzione si afferma anche che l’Italia ripudia la guerra, no?
E se per i parlamentari la difesa della biodiversità corrisponde all’effettivo ripudio della guerra – considerato che il bilancio della Difesa prevede, per il 2022, circa 26 miliardi di euro – non dobbiamo sorprenderci se alla difesa ipocrita delle biodiversità corrisponde la sempre più feroce imposizione di una monocoltura della mente.

L’attacco è a 360 gradi e va ben oltre la questione vaccini: «Le monocolture si diffondono non perché permettono di produrre di più, ma perché permettono di controllare meglio» (1).
La volontà denigratoria – di Parisi come di altri/e – nei confronti della biodinamica non è che l’ennesimo tassello di un processo autoritario che mira ad annullare definitivamente chi/ciò che non intende allinearsi (o essere funzionale) al pensiero unico, cioè al neoliberismo.

A tutti e tutte costoro non posso che consigliare di andare a zappare, perché soltanto sperimentando dal vivo, anche coltivando un piccolo orto, si è poi in grado di discernere e di parlare in modo appropriato delle cose; tutto il resto è e rimane flatus vocis.

In ultimo, ci tengo molto a ricordare che tutto coloro che usano definire come “magia” certe pratiche e saperi, sono anche i primi che applaudono i bioprospettori inviati dalle multinazionali farmaceutiche in Amazzonia e altri luoghi remoti per saccheggiare le conoscenze tradizionali e tribali sulle erbe curative per poi isolarne i principi attivi e riprodurli sinteticamente in laboratorio ai fini del profitto.

Io sto dalla parte delle streghe! E voi?

Note: (1) V. Shiva, Monocolture della mente. Biodiversità, biotecnologia e agricoltura “scientifica”, Bollati Boringhieri 1995

Nuove colonie da invadere…

[…] La pandemia di coronavirus ed il confinamento hanno dimostrato ancor più chiaramente come ci hanno ridotto ad oggetti che devono essere controllati, e i nostri corpi e le nostre menti diventano una specie di nuove colonie da invadere. Gli imperi creano colonie, le colonie riuniscono i beni comuni delle comunità autoctone e li trasformano in fonti di materie prime che si estraggono a fini di lucro. Questa logica lineare ed estrattiva è incapace di percepire le relazioni intime che permettono la vita nella natura. È cieca alla diversità, ai cicli di rinnovamento, ai valori del dare e del condividere, così come al potere e al potenziale dell’auto-organizzzazione e del mutuo aiuto. È cieca al disordine che crea e alla violenza che provoca.
Il confinamento prolungato del coronavirus è stato un’esperienza di laboratorio per un futuro senza umanità.
Il 26 marzo 2020, nell’apogeo della pandemia di coronavirus e nel mezzo del confinamento, l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI) ha concesso a Microsoft una patente. La patente WO 060606 stabilisce che “l’attività del corpo umano associata ad un compito affidato ad un utente si può utilizzare in un processo di estrazione di criptomoneta…”.
La “attività corporale” che Microsoft aspira ad”estrarre” comprende le radiazioni emesse dal corpo umano, l’attività cerebrale, la circolazione dei fluidi corporali, la circolazione sanguigna, l’attività degli organi, i movimenti corporali (come quelli oculari, facciali e muscolari), così come tutte le altre attività che si possano individuare e rappresentare tramite immagini, onde, segnali, testi, numeri o qualsiasi altra informazione o dato.
La patente è una richiesta di proprietà intellettuale sul nostro corpo e sulla nostra mente.
Nel colonialismo i colonizzatori si arrogano il diritto di prendersi le terre e le risorse dei popoli autoctoni, di eliminare la loro cultura e la loro sovranità e, in casi estremi, di sterminarli. La patente WO 060606 è una dichiarazione di Microsoft secondo la quale il nostro corpo e la nostra mente sono le sue nuove colonie. Siamo miniere di “materie prime” da estrarre, i dati estratti dal nostro corpo. Invece di esseri sovrani, spirituali, coscienti e intelligenti che prendono decisioni scegliendo con saggezza e che possiedono alcuni valori etici rispetto all’impatto che le nostre azioni hanno sul mondo naturale e sociale di cui facciamo parte e al quale siamo strettamente legati, siamo “utenti”. Un “utente” è un consumatore senza scelta nell’impero digitale.
Ma la visione di Gates non si limita a questo. Di fatto è ancora più sinistra: si tratta di colonizzare il cervello, il corpo e la mente dei nostri figli ancor prima che abbiano avuto l’opportunità di capire com’è la libertà e la sovranità, cominciando dai più vulnerabili. […] VANDANA SHIVA

Il testo integrale si può leggere qui.


Il capitalismo non è mai sostenibile!

La sostenibilità richiede la protezione di tutte le specie e di tutte le genti e il riconoscimento che specie differenti e genti differenti giocano un ruolo essenziale nel mantenimento degli ecosistemi e dei processi ecologici […]. Tanto più l’umanità continua sulla strada della non sostenibilità, quanto più diventa intollerante verso le altre specie e cieca verso il loro ruolo fondamentale per la nostra sopravvivenza. Vandana Shiva

Se nella ‘fase 1’ ci hanno ammorbate&blindate col pretesto della ‘nostra salute’, per la ‘fase (che) 2 (ovaie!)’ e successive il capitale-Hexenmeister ha già pronte le sue armi propagandistiche sulle magnifiche sorti e progressive per tutelare noi e il pianeta che abitiamo: le energie rinnovabili.

Nulla di nuovo, sia chiaro. Dalla ‘rivoluzione verde’ – che «non è stata né verde, né rivoluzionaria, bensì un piano per colonizzare i sistemi agricoli e alimentari dell’India, che ha provocato una grave crisi idrica» – al greenwashing non c’è soluzione di continuità.

Madre Terra, una delle “telalchemiche” di Salvatore Carbone

Il capitalismo sostenibile, ossimoro che nulla ha da invidiare alla ‘guerra umanitaria’, è l’inganno in cui continuano a cadere tanti ‘gretini’.

Perché il capitalismo si fonda sul mal(e)development – di cui ho scritto già brevemente, tempo fa – «ovvero uno sviluppo privo del principio femminile, conservativo, ecologico», «ridotto ad una continuazione del processo di colonizzazione». Uno sviluppo fondato su «categorie patriarcali che interpretano la distruzione come “produzione” e la rigenerazione della vita come “passività”» (*).

Soltanto il femminismo radicale e anticapitalista/materialista è capace, secondo me, di uno sguardo bifocale e postvittimista che comprenda gli stretti nessi tra violenza contro le donne e violenza contro la terra, per opporsi con determinazione allo stato di cose presente e ai suoi sviluppi devastanti.

Per cominciare a trasformare la ‘fase 2’ in ‘fase 2 occhi che finalmente si liberano dalle fette di salame’, consiglio la visione di Planet of the Humans (ringrazio la cara Miky ‘de Belfast’, che me l’ha segnalato).

(*) Vandana Shiva, Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, 1993 [poi ripubblicato da Utet, nel 2004, col titolo Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo]

Alcuni nessi concettuali tra ragione neocoloniale e violenza maschile contro le donne

Anche quest’anno la giornata contro la violenza maschile sulle donne è passata. L’immaginario vittimizzante non è mancato nemmeno questa volta, condito anche con un tocco kitsch.
Ma guardiamo al lato positivo: da oggi e per i prossimi 363 giorni si può ragionare al di là di sedimentate attitudini culturali.

Nelle scorse settimane mi ero decisa, dopo lungo tempo, a mettere in rete alcune mie riflessioni sul postvittimismo.
Ora vorrei fare un passaggio ulteriore. Anzi tre, come gli aggettivi con cui bell hooks connota il patriarcato: capitalista, suprematista, bianco.

Nel neocolonialismo individuo la sintesi di queste tre connotazioni e proverò a partire da qui, cioè dalla necessità che la lotta contro la violenza maschile sulle donne si coniughi – o torni a coniugarsi – con la critica di quella che possiamo definire ragione neocoloniale.

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Verso prospettive e pratiche postvittimistiche

In Sopravvivere allo sviluppo, Vandana Shiva scrive: «La maggior parte dei lavori sul rapporto donne-ambiente nel Terzo Mondo si focalizza sulle donne viste come vittime peculiari del degrado ambientale. Eppure, le donne che partecipano alla guida dei movimenti ecologisti in paesi come l’India non parlano solo come vittime. La loro voce è quella della liberazione e della trasformazione, che fornisce nuove categorie di pensiero e nuove piste di ricerca. In questo senso, il mio è uno studio “post-vittimistico”: articola le categorie di sfida che le donne ecologiste stanno creando nel Terzo Mondo» (1).

Secondo V. Shiva, questa vittimizzazione è funzionale alla frammentazione tra le lotte e, soprattutto, ne riduce gli obiettivi a mere richieste di «concessioni all’interno del malsviluppo» [nell’originale inglese, maldevelopment, ossia, sviluppo sul modello unico e dominante: quello maschile (male)], mentre «l’ambientalismo diventa un progetto patriarcale di rimedi tecnologici e oppressione politica» (2).

La lettura di questi passaggi è stata, per me, illuminante e, già dai tardi anni Novanta, ho acquisito la categoria shiviana di postvittimismo tra gli strumenti principali della mia “cassetta degli attrezzi”, poiché mi sollecitava a guardare da una prospettiva – ed a sperimentare, di conseguenza, una prassi – radicalmente altra ed autonoma.
In sostanza, ho individuato nel postvittimismo un efficace antidoto al rischio di impantanamento in prospettive che, se pure apparentemente “alternative” a quella dominante, si rivelano essere, in ultima istanza, dei meri paliattivi.

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