“Noi non combattiamo contro ISIS soltanto col corpo…”

Dal blog dakobaneanoi

È da alcuni giorni in Italia Nessrin Abdalla, 36 anni, comandante delle YPJ. Alcune di noi hanno avuto modo di partecipare ad uno degli incontri che si sono svolti con lei, proprio nei giorni del nuovo e sanguinoso tentativo di offensiva di ISIS a Kobane.

Oltre all’audio del suo intervento, abbiamo pensato di riportare alcuni stralci dalle interviste che sono state registrate. Questi stralci sono selezionati e “montati” in modo da costituire un approfondimento delle tematiche che il nostro blog ha più volte messo in risalto, in particolare per quanto riguarda la condizione delle donne in Rojava e la loro partecipazione al processo rivoluzionario in atto.

Quanto sia incisiva la partecipazione delle donne lo dimostra non solo il fatto che le donne siano presenti e attive su tutti i piani della lotta, dell’organizzazione sociale e della gestione del quotidiano, ma anche il modo in cui si è trasformato il linguaggio. È, infatti, assai consueto trovare nei comunicati ufficiali l’espressione “sorellanza tra i popoli” [sisterhood, nella traduzione inglese dal kurdo] e questo ci sembra un particolare non da poco, dopo secoli di fratellanze e fratriarcati che dell’oppressione delle donne ne hanno fatta la propria cultura e bandiera…

Vai sul blog dakobaneanoi per ascoltare l’intervento e leggere le interviste.

Un’altra accademia è possibile, necessaria e urgente!

Mentre in Kurdistan si moltiplicano le Accademie per donne, anche al di fuori del Rojava, in Italia un branco composto da docenti, chirurghi plastici, giudici ecc., guarda sfilare le studenti per eleggere Miss Università.

Senza sprecare tempo in commenti scontati, invito a leggere l’intervista raccolta dalla Delegazione internazionale di donne in Rojava ad una delle responsabili dell’Akademia Star per donne, da cui, oltre all’impostazione postvittimista, emerge anche una concezione di “democrazia” radicalmente diversa da quella propinata in Occidente per addomesticare e sottomettere le donne e l’intera popolazione. Al riguardo, non deve ingannare l’uso del termine “polizia”, che in territorio kurdo ha il compito di autodifesa interna delle città; assai diverso, quindi, da quel monopolio statale della violenza che ben conosciamo nei territori che abitiamo…

La delegazione internazionale di donne in Rojava per il 25 novembre 2014
incontra una delle responsabili dell’Akademia Star per donne del cantone del
Cizire

(26 novembre 2014)

L’Akademia è il luogo dove si tramandano i saperi, le scienze e la
consapevolezza delle donne, cioè la ginologia. L’ideologia femminista è parte
della ginologia.
Prima della rivoluzione c’erano già scuole e centri di formazione per donne. Uno-due
anni fa abbiamo iniziato a costruire strutture dove le donne potessero studiare.
Questa accademia è stata fondata nel febbraio 2012.
Uno degli scopi dell’accademia è quello di interrogarsi su cosa hanno bisogno le
donne per diventare libere, per vivere una vita libera. Che tipo di vita
vogliamo? Quale sistema di libertà vogliamo? come deve essere un sistema in
cui vivere libere?
La risposta a queste domande è: strutture democratiche. Continue reading

Inanna/Ištar: potenza della dea e immaginario postvittimista

Quando, circa un anno fa, ho partecipato ad un incontro con alcune donne kurde, mi aveva piacevolmente colpita il fatto che una di loro avesse aperto il proprio intervento citando la dea Ištar – la più importante divinità femminile mesopotamica – e ricordando che il Kurdistan si trova in Mesopotamia.

Quanto mi risuonava quel richiamo ad Ištar! Tanti anni prima avevo letto, rimanendone assai affascinata, gli inni dedicati alla dea Inanna, che successivamente sarebbe stata assimilata a Ištar, dea accadica, poi babilonese – a lei era dedicata una delle otto porte di Babilonia –  ed assira. Dunque una dea che è sopravvissuta per alcuni millenni mentre veniva ad affermarsi il patriarcato e che ancora oggi alimenta l’immaginario di donne in lotta per la propria liberazione, per la liberazione dei territori in cui vivono e per la costruzione di comunità che siano radicalmente ‘altre’ da quelle a dominio maschile e capitalistico.

Oltre vent’anni fa ho cominciato a studiare la civiltà sumera, convinta che lì e non in Grecia andasse cercata la “culla” della trasformazioni culturali successive. È, infatti, nei territori che si trovano fra il Tigri e l’Eufrate che avviene il passaggio dal paradigma nomadico a quello stanziale; lì troviamo il primo definirsi dello Stato – le città-Stato; lì troviamo in nuce il  concetto di tempo e quello di storia; lì sono nati la scrittura e la legge – anche se il codice di Hammurabi, più organico e complesso dei precedenti, sarebbe stato stilato nella successiva epoca babilonese, durante il suo regno tra il 1792 e il 1750 a. C. Ma, soprattutto e malgrado tutto, lì troviamo elementi ancora vivi di potenza femminile.

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La strategia patriarcale della vittimizzazione

Segnalo dal blog dakobaneanoi.noblogs.org la traduzione di un interessante articolo di Dilar Dirik

La rappresentazione delle combattenti curde nei media

In seguito agli omicidi di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Saylemez, il 9 gennaio 2013 a Parigi, i media mainstream si sono improvvisamente concentrati su una questione a lungo trascurata quanto affascinante: il ruolo rilevante delle donne nel movimento di liberazione curdo.

Nel corso degli ultimi due anni, i curdi hanno preso il controllo sul Kurdistan occidentale (Rojava) e hanno gradualmente istituito strutture di autogoverno nel bel mezzo della guerra civile siriana. Fin dall’inizio, le donne sono state parti attive nella Rivoluzione del Rojava attraverso il loro impegno civile e politico, ma ciò che ha più colpito i media mainstream occidentali è stata l’identità delle donne che, come uguali militanti, combattono in guerra. Queste donne, che combattono contro il regime di Assad e contro i gruppi jihadisti, sottolineano ripetutamente che la loro è una lotta per la libertà su più fronti, come curde e come donne.

Anche se l’esistenza di combattenti donne è stata per decenni un elemento naturale della politica in Kurdistan, il mondo prende atto soltanto ora del forte ruolo delle donne all’interno del movimento di liberazione curdo. Soprattutto di recente, il movimento delle donne ha colpito l’immaginazione dei media mainstream in vari modi che vanno dal timore stupito all’orientalismo condiscendente, al sessismo vero e proprio.

Per continuare a leggere, vai nel blog da Kobane a noi

 

“Da kobane a noi”: un blog femminista e postvittimista

blog_da_kobane

 

 

 

 

Molto volentieri segnalo la nascita del blog da Kobane a noi, frutto dell’incontro tra alcune (a me assai care) compagne milanesi e kurde e in risposta all’appello che invitava a dedicare il prossimo 8 marzo alla rivoluzione delle donne nel Rojava.

In attesa che si definiscano le iniziative per la Giornata internazionale delle donne, nel blog potete trovare gli appuntamenti milanesi verso l’8 marzo, materiale informativo e documentario, nonché interessanti spunti di riflessione.

Di seguito, un piccolo e stimolante ‘assaggio’.

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8 marzo: “Organizziamo la resistenza ovunque nel mondo le donne subiscano violenza”

Un 8 marzo rituale e senza idee: questo va prefigurandosi per l’ennesima volta.

Ne è dimostrazione il fatto che, nella provincialissima Italia, alcune campionesse di aria ai denti (e alle tastiere) hanno già cominciato a sprecare parole sulla coincidenza della ‘liberazione’ di Berlusconi con l’8 marzo – avendo, evidentemente, poco altro da dire o da proporre per quella giornata.

Fortunatamente, però, il mondo delle donne è un po’ più ampio e variegato, ed ecco che dalle compagne kurde arriva una proposta interessante – postivittimista, femminista e internazionalista –  che rilancio. E rilancio in particolare l’invito affinché, proprio come le combattenti delle YPJ, anche a queste latitudini si cominci a  trasformare ogni giorno nell’8 marzo – di lotta, non di tastiera!

«Per le donne in questo mondo non esiste sicurezza. Per questo le donne devono più che mai provvedere alla propria protezione e organizzare la loro autodifesa»

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Bastoni rossi contro la violenza maschile

Ho tradotto questo articolo da Firatnews perché l’ho trovato molto interessante. Non solo e non tanto perché ribadisce l’importanza dell’autodifesa femminista, quanto perché mostra come la potenza postvittimistica sprigionata dalle guerrigliere kurde si stia propagando anche altrove.
Buona lettura!

Autodifesa contro la violenza maschile: i bastoni rossi

ANF – ISTANBUL 2015/03/02 11:30:24

Le donne in Turchia continuano a combattere contro la violenza maschile.

Contro gli uomini che le molestano o che ricorrono alla violenza fisica non rimangono in silenzio: sviluppano metodi di autodifesa.

Diversi giorni fa, le donne sono scese in piazza a Istanbul per protestare contro la violenza sessuale. Un gruppo di donne ha portato dei bastoni rossi in corteo e alzandoli invitava le donne a sviluppare tecniche di autodifesa contro la violenza.

I bastoni rossi delle donne di Istanbul richiamavano quelli della Gulabi gang indiana – nota in Turchia come “le donne in rosa”– che non lasciano impunita la violenza maschile e forniscono alle donne uno strumento di difesa.
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Mezzo secolo

Ai primi di gennaio è arrivato a compimento il mio primo mezzo secolo, preannunciato da un’ondata di ricordi lontani che riaffioravano da chissà quali anfratti della memoria.
Non è una novità che più si avanza negli anni e più il passato vada condensandosi in una forma complessa, multidimensionale. Ma un conto è dirlo e un conto è vivere questa sorta di ‘stato modificato di autocoscienza’.

Insomma, mi trovavo in questo ‘viaggio’ in cui il particolare e l’universale si intersecano e danno forma a mezzo secolo di storia e di passioni, di rabbia e desideri, quand’ecco che proprio questo mezzo secolo di storia mi/ci ripiomba sulla testa scatenando l’immancabile canea mediatica e gli ancor più immancabili richiami ad un’improbabile unità (ma in nome di che?!?). Continue reading

25 novembre postvittimista

da Retekurdistan

UIKI: Insieme contro il femminicidio!
Viva la lotta organizzata delle donne nel Rojava

Il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il nostro pensiero
è rivolto alle lotte per la libertà per tutte le donne, per la democrazia e per l’uguaglianza sociale.
Il 25 novembre 1960 le tre sorelle Mirabal, attiviste per i diritti delle donne, che lottavano contro la dittatura di Trujillo, sono state crudelmente uccise nella Repubblica Dominicana. Ricordiamo loro e insieme a loro tutte le donne progressiste e rivoluzionarie con profondo rispetto.
Oggi, in un mondo che muta sempre più rapidamente, la violenza contro le donne prosegue, per niente diminuita. Un sistema basato sul dominio e sul potere ha fatto in particolare della donna e dei suoi valori specifici l’obiettivo centrale delle proprie pratiche di sfruttamento. Il sistema capitalista porta l’umanità in un processo di scontri senza fine e per questo si serve di strutture statuali ad esso assoggettate. Il capitalismo con la sua logica di profitti senza limiti, per espandersi, oggi sostiene sistemi e gruppi in particolare nel Medio Oriente, ma non solo, che vogliono cancellare i diritti delle donne, delle varie religioni e di tutte le diversità.
Le bande di IS, che disprezzano l’umanità e le donne, che dicono di sé di essere parte dell’opposizione siriana, vengono appoggiate logisticamente e a livello organizzativo da paesi europei, dalla Turchia, ma anche da stati come Arabia Saudita e Qatar. Non ci sono numeri precisi, ma da agosto a Shengal in Iraq migliaia di donne curde-yezide, turcomanne e di altre comunità sono state rapite dalle bande di IS. Donne che vengono violentate e vendute al mercato degli schiavi, pratiche che vanno oltre la nostra idea di Medioevo. Il gruppo che si definisce fratello di IS, Boko Haram, in Nigeria ad aprile ha rapito 276 studentesse e le ha costrette a matrimoni forzati con componenti del gruppo.

La violenza contro le donne viene perseguita in modo sempre più simile e sistematico in ogni continente

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