Corpo è rivoluzione!

Interrompo, con un’intervista rilasciata a RadioCane, questi mesi di mio silenzio “pubblico”, dovuto alla necessità di concentrarmi su alcune profonde trasformazioni che riguardano la mia esistenza.

In quest’epoca di nauseante normalizzazione, molto probabilmente si leverà alto il coro delle rane aristofanee ascoltando queste mie parole.

filosofie-parinetto-corpo-rivoluzione-marxLascio dunque, parinettianamente, ai propri Brekekekex koax koax chi ha scelto di accomodarsi nella miseria dell’esistente, e ringrazio tutte/i coloro che, a 15 anni dalla morte di Luciano Parinetto, lo hanno voluto ricordare con me e con Gian Andrea Franchi, riempiendo lo spazio di Cox18 di intelligenza, emozioni, desideri e utopia.

Vai su RadioCane per ascoltare l’intervista.

Qui potete scaricare il pdf della mia postfazione alla riedizione di Corpo e rivoluzione in Marx, mentre qui potete ascoltare il podcast della presentazione in Cox18.

Lo stato è lo stato, il business è il business, il capitale è il capitale… E le donne?

Non sorprende che il noiosissimo tormentone sulle statue coperte per non “turbare” Rohani non abbia sfiorato il fatto che  l’Italia sia uno dei paesi che più utilizza, a fini commerciali, il corpo delle donne  – intero o a pezzi, a seconda dei gusti. (Mi chiedo, per altro, se gli abbiano messo il paraocchi perché non vedesse anche i cartelloni pubblicitari, le televisioni, ecc. ecc.).

Ma business is business (leggasi: il capitale è il capitale) e se usare i corpi femminili serve a vendere di più, d’altra parte per intascare fior di miliardi si può anche “censurare” una povera Venere.

Non si tratta di dispositivi differenti, anzi! Diciamo che l'”oggetto” donna viene svestito o impacchettato a seconda dei gusti del “cliente” e degli interessi del “venditore”. Così funziona lo stato patriarcale&capitalista. Non ci piove.

Questo stesso stato che si preoccupa di non turbare, con un paio di antiche tette marmoree, chi detiene il record delle impiccagioni, è anche quello che, dopo aver riempito gli ospedali di obiettori, ora pretende pure che le donne costrette ad abortire clandestinamente lo ingrassino con multe dai 5mila ai 10mila euro. E la chiamano “depenalizzazione”!!!

D’altra parte, come scrive Silvia Federici, È fondamentale vedere che oggi nella politica neoliberale, nella politica del capitalismo internazionale, non è tanto l’aborto in sé che conta, quanto il controllo sulla riproduzione. Non dobbiamo dimenticare che la stessa classe capitalistica che oggi cerca di limitare l’aborto è quella che in anni molto recenti organizzava i safari della sterilizzazione in India, in Indonesia. […] La questione è a chi spetta decidere, chi deve/può venire al mondo su questo pianeta: una decisione che gran parte della classe capitalistica, oggi, tanto quanto al tempo della caccia alle streghe, è determinata a non lasciare nelle mani delle donne. (S. Federici, Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, Ombre Corte 2014)

Quando si tratta di controllo sul corpo e sulla sessualità delle donne, gli stati riescono sempre a dare il meglio di se stessi.
Altri due esempi. Continue reading

Violenza di genere e femminicidi politici

La violenza di genere ha sempre una valenza politica, dal mio punto di vista, poiché è uno strumento utilizzato per perpetuare il secolare dominio del genere maschile sulle donne. Poco conta se questo uso sia sempre consapevole o sia frutto di una mentalità che inferiorizza le donne fino a renderle proprietà maschile, dunque schiave dell’uomo. È un dato di fatto storicizzabile, da combattere alla radice.

Esiste, poi, un uso politico della violenza di genere e del femminicidio, il cui obiettivo non è ‘solo’ quello di terrorizzare le donne per mantenerle in condizione di schiavitù, ma anche quello di terrorizzare un’intera popolazione. Generalmente questo secondo aspetto va di pari passo con la guerra.
Nella storia se ne possono rintracciare innumerevoli casi; il più recente è quello della guerra che il governo di Erdogan sta portando avanti, con rinnovata ferocia, nei confronti della popolazione kurda.

Ciò che è avvenuto a Colonia e in altre città a capodanno è terribile, senza dubbio. E non deve stupire che la mentalità patriarcale faccia uso anche dei social network per organizzare violenze di massa. O continuiamo a pensare, stupidamente, che il patriarcato abbia a che vedere con il feudalesimo e nulla abbia a che fare con la modernità e le sue tecnologie?

Ricordiamo bene le aggressioni sessuali di gruppo in piazza Tahrir, al Cairo, quando orde di maschi circondavano le donne, le molestavano e le stupravano per ‘punirle’ della libertà che si erano prese scendendo in piazza a protestare. Ma dovremmo anche ricordare bene  come, nell’arco di breve tempo, si organizzarono i gruppi di difesa e autodifesa delle donne.
E così anche in India, e in tante altre parti del mondo. Continue reading

I wish you a merry gender…

Ancora non si chetano i tromboni antigender. Si tratta semplicemente di propaganda elettorale o sotto sotto c’è dell’altro?
Un interessante intervento di Paola di Cori – che ringrazio sentitamente – fa il punto della situazione.
registro elettronicoNel pubblicarlo, vi affianco due piccoli ma significativi esempi che ci fanno capire quanto gli ambiti educativi siano, ancora oggi, intrisi di stereotipi di genere e quanto sia il lavoro ancora da fare – a partire dal dato che in ogni ordine di studi ancora sia dominante l’uso del neutro maschile “uomo” per riferirsi all’intero genere umano.
La prima immagine (qui accanto) è tratta dal registro elettronico che, adottato ormai in gran parte delle scuole, ripropone il rosa e l’azzurro accanto ai nomi delle/degli studenti.
Le altre due  immagini, invece, sono tratte da un libro di seconda elementare. Si tratta di un “compito” differenziato: i bimbi dovevano rispondere alle domande riguardanti le bambine, e viceversa. E, nel farlo, si rafforzano i peggiori stereotipi.
Non credo ci sia bisogno di ulteriori commenti..

(cliccate sulle immagini per ingrandirle)

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Teoria del gender? Vaniloqui e tanta politica
di Paola di Cori

Lo schermo gigantesco al centro del quale nelle ultime settimane si staglia luminosamente scintillante la parola gender, talvolta accompagnata dalla più enigmatica teoria, con il rumoroso seguito di equivoci e strumentali deformazioni, suscita un insieme di stati d’animo contrastanti: dalla rabbia all’indignazione, dal sarcasmo al desiderio di coprirsi occhi e orecchie e rifugiarsi su un’isola deserta. Da un lato sembra di ritrovarsi a dire e scrivere cose appartenenti a un passato che si pensava sepolto da tempo; dall’altro, si ha l’impressione di non potersi sottrarre al dovere di contrastare la malafede di politicanti rozzi e manipolatori, lo zelo neomedievale di religiosi ultraconservatori, l’armata bianca delle associazioni pro-vita e pro- famiglie, i raduni e convegni in nome di una supposta superiorità dell’”ordine naturale” che regge il credo oscurantista omofobo e razzista. Continue reading

Gineologia: un paradigma postvittimista per la liberazione

Ho voluto tradurre questo intervento sulla Gineologia perché credo possa essere un prezioso nutrimento per chi, nel movimento delle donne in Italia, sente la necessità di aggiornare la propria cassetta degli attrezzi nonché l’urgenza di un cambiamento radicale di metodo e di prospettiva in chiave postvittimistica.

Il giusto rifiuto nei confronti di un femminismo rampante che elemosina briciole di potere non è sufficiente a risolvere la difficoltà di mettere a fuoco pratiche in grado di rivoluzionare l’esistente dalle radici. Per scardinare il sistema patriarcale nelle sue declinazioni economiche, politiche, sociali e culturali occorre un nuovo paradigma.

Nei paesi occidentali gli Women’s Studies, nati in origine come strumento di critica dei saperi, si sono spesso ridotti ad uno sterile accademismo, del tutto innocuo nei confronti del sistema di sapere dominante – che talvolta li ha perfino sventolati come proprio fiore all’occhiello.

La Gineologia, invece, traendo le proprie radici da un percorso di trasformazione complessiva – qual è quello che le donne kurde stanno portando avanti con determinazione – ci conduce in un’altra direzione.
Sta anche a noi comprenderne la portata…

Ringrazio Nora, che ha fatto la revisione di questa non facile traduzione.

Per approfondimenti, si veda anche il mio Inanna/Ištar: potenza della dea e immaginario postvittimista

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Da Kurdish Question

Gönül Kaya è giornalista e rappresentante del movimento kurdo delle donne. Questo articolo è la trascrizione del suo intervento alla Jineology Conference che si è tenuta a Colonia (Germania) nel marzo 2014.

P11733-300x192erché la Gineologia? Ricostruire le scienze per una vita libera e comunitaria
di Gönül Kaya

Il Movimento delle donne libere del Kurdistan considera la Gineologia come un passo importante nell’autodifesa e nella lotta trentennale per la mobilitazione intellettuale e ideologico-politica.

Vorrei introdurre, seppur brevemente, i principi fondamentali della Gineologia, che il movimento kurdo delle donne offre al movimento delle donne nel mondo.

La Gineologia è descritta dalla lotta di liberazione delle donne kurde come la “creazione di un paradigma delle donne”. Questa posizione rappresenta una nuova fase dal punto di vista del movimento delle donne kurde. Continue reading

Sulla cultura dello stupro – Parte terza

La lettura che propongo oggi è ripresa dal blog Femminismo e materialismo. Si tratta di una riflessione importante non solo perché mette in discussione la metodologia riduzionista con cui sono stati raccolti gli ormai strafamosi dati Istat sulla violenza maschile contro le donne, ma anche e soprattutto perché, andando al di là di quei dati, l’autrice del blog si chiede “Come muterebbero […] i risultati se si chiedesse alle donne di dichiarare  se hanno mai praticato rapporti sessuali senza averne voglia?”, mettendo quindi l’accento sul consenso.

Infatti, secondo l’autrice, “Applicato ai rapporti sessuali, in un sistema patriarcale, in una condizione quindi di disuguaglianza, il consenso assume una precisa connotazione di genere ed esprime la disponibilità della donna ad appagare le istanze di godimento dell’uomo, a sottomettersi ai suoi desideri e al suo potere decisionale”.

La ricerca svolta da M. Barbagli, G. Dalla Zuanna e F. Garelli sulla sessualità maschile degli italiani e citata dall’autrice conferma questa asimmetria e fa emergere il nodo del consenso come questione prioritaria.

51NqU7WuOdL._SY498_BO1,204,203,200_ Per altro, le risposte citate in questa ricerca mi hanno riportato alla memoria un testo di Renata Pisu, Maschio è brutto. L’uomo italiano in trecento lettere sessuali (1976), che ho letto tanto anni fa. Si trattava di lettere inviate da uomini su tematiche inerenti la sessualità alla rubrica “La posta di Cristina” (dove Cristina Leed era lo pseudonimo usato da R. Pisu) di un settimanale diffuso fra gli anni ’60 e i primi anni ’70. Quelle lettere mettevano in luce non solo l’ignoranza e l’arretratezza dei maschi italiani per quanto riguarda la sessualità, ma anche come lo stupro fosse spesso concepito come comportamento “normale” (quando non veicolo di veri e propri “miracoli“!).

Non sto ad anticipare altro, e rimando alla lettura diretta dell’intervento, che riporto qui sotto. Continue reading

Inanna/Ištar: potenza della dea e immaginario postvittimista

Quando, circa un anno fa, ho partecipato ad un incontro con alcune donne kurde, mi aveva piacevolmente colpita il fatto che una di loro avesse aperto il proprio intervento citando la dea Ištar – la più importante divinità femminile mesopotamica – e ricordando che il Kurdistan si trova in Mesopotamia.

Quanto mi risuonava quel richiamo ad Ištar! Tanti anni prima avevo letto, rimanendone assai affascinata, gli inni dedicati alla dea Inanna, che successivamente sarebbe stata assimilata a Ištar, dea accadica, poi babilonese – a lei era dedicata una delle otto porte di Babilonia –  ed assira. Dunque una dea che è sopravvissuta per alcuni millenni mentre veniva ad affermarsi il patriarcato e che ancora oggi alimenta l’immaginario di donne in lotta per la propria liberazione, per la liberazione dei territori in cui vivono e per la costruzione di comunità che siano radicalmente ‘altre’ da quelle a dominio maschile e capitalistico.

Oltre vent’anni fa ho cominciato a studiare la civiltà sumera, convinta che lì e non in Grecia andasse cercata la “culla” della trasformazioni culturali successive. È, infatti, nei territori che si trovano fra il Tigri e l’Eufrate che avviene il passaggio dal paradigma nomadico a quello stanziale; lì troviamo il primo definirsi dello Stato – le città-Stato; lì troviamo in nuce il  concetto di tempo e quello di storia; lì sono nati la scrittura e la legge – anche se il codice di Hammurabi, più organico e complesso dei precedenti, sarebbe stato stilato nella successiva epoca babilonese, durante il suo regno tra il 1792 e il 1750 a. C. Ma, soprattutto e malgrado tutto, lì troviamo elementi ancora vivi di potenza femminile.

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