Lo stato è lo stato, il business è il business, il capitale è il capitale… E le donne?

Non sorprende che il noiosissimo tormentone sulle statue coperte per non “turbare” Rohani non abbia sfiorato il fatto che  l’Italia sia uno dei paesi che più utilizza, a fini commerciali, il corpo delle donne  – intero o a pezzi, a seconda dei gusti. (Mi chiedo, per altro, se gli abbiano messo il paraocchi perché non vedesse anche i cartelloni pubblicitari, le televisioni, ecc. ecc.).

Ma business is business (leggasi: il capitale è il capitale) e se usare i corpi femminili serve a vendere di più, d’altra parte per intascare fior di miliardi si può anche “censurare” una povera Venere.

Non si tratta di dispositivi differenti, anzi! Diciamo che l'”oggetto” donna viene svestito o impacchettato a seconda dei gusti del “cliente” e degli interessi del “venditore”. Così funziona lo stato patriarcale&capitalista. Non ci piove.

Questo stesso stato che si preoccupa di non turbare, con un paio di antiche tette marmoree, chi detiene il record delle impiccagioni, è anche quello che, dopo aver riempito gli ospedali di obiettori, ora pretende pure che le donne costrette ad abortire clandestinamente lo ingrassino con multe dai 5mila ai 10mila euro. E la chiamano “depenalizzazione”!!!

D’altra parte, come scrive Silvia Federici, È fondamentale vedere che oggi nella politica neoliberale, nella politica del capitalismo internazionale, non è tanto l’aborto in sé che conta, quanto il controllo sulla riproduzione. Non dobbiamo dimenticare che la stessa classe capitalistica che oggi cerca di limitare l’aborto è quella che in anni molto recenti organizzava i safari della sterilizzazione in India, in Indonesia. […] La questione è a chi spetta decidere, chi deve/può venire al mondo su questo pianeta: una decisione che gran parte della classe capitalistica, oggi, tanto quanto al tempo della caccia alle streghe, è determinata a non lasciare nelle mani delle donne. (S. Federici, Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, Ombre Corte 2014)

Quando si tratta di controllo sul corpo e sulla sessualità delle donne, gli stati riescono sempre a dare il meglio di se stessi.
Altri due esempi. Continue reading

Violenza di genere e femminicidi politici

La violenza di genere ha sempre una valenza politica, dal mio punto di vista, poiché è uno strumento utilizzato per perpetuare il secolare dominio del genere maschile sulle donne. Poco conta se questo uso sia sempre consapevole o sia frutto di una mentalità che inferiorizza le donne fino a renderle proprietà maschile, dunque schiave dell’uomo. È un dato di fatto storicizzabile, da combattere alla radice.

Esiste, poi, un uso politico della violenza di genere e del femminicidio, il cui obiettivo non è ‘solo’ quello di terrorizzare le donne per mantenerle in condizione di schiavitù, ma anche quello di terrorizzare un’intera popolazione. Generalmente questo secondo aspetto va di pari passo con la guerra.
Nella storia se ne possono rintracciare innumerevoli casi; il più recente è quello della guerra che il governo di Erdogan sta portando avanti, con rinnovata ferocia, nei confronti della popolazione kurda.

Ciò che è avvenuto a Colonia e in altre città a capodanno è terribile, senza dubbio. E non deve stupire che la mentalità patriarcale faccia uso anche dei social network per organizzare violenze di massa. O continuiamo a pensare, stupidamente, che il patriarcato abbia a che vedere con il feudalesimo e nulla abbia a che fare con la modernità e le sue tecnologie?

Ricordiamo bene le aggressioni sessuali di gruppo in piazza Tahrir, al Cairo, quando orde di maschi circondavano le donne, le molestavano e le stupravano per ‘punirle’ della libertà che si erano prese scendendo in piazza a protestare. Ma dovremmo anche ricordare bene  come, nell’arco di breve tempo, si organizzarono i gruppi di difesa e autodifesa delle donne.
E così anche in India, e in tante altre parti del mondo. Continue reading

Sorridiamo, donne: arrivano le bombe!

Da che la Francia, per vendicarsi degli attentati di Parigi, ha cominciato a bombardare Raqqa, “capitale” del cosiddetto stato islamico, sui media on line compaiono articoli che raccontano di donne che “sorridono alle bombe”, perché finalmente possono scoprirsi il volto e i capelli, mentre i Daesh fuggono per salvarsi la pelle.

Un giornale scrive: «Le incursioni degli aerei da guerra rappresentano per loro un momento di pace, di gioia: mentre gli uomini di Al Baghdadi fuggono, atterriti dagli attacchi, loro, le donne dei civili, corrono a prendere una boccata d’aria. Il velo però lo lasciano nel buio delle loro case semidistrutte: la libertà merita di essere assaporata a volto scoperto».

«Le donne dei civili», avete letto bene! Non «le donne» e punto, perché anche alle nostrane latitudini proliferano la mentalità da sultani e la cultura dello stupro, e una donna è sempre “la donna di qualcuno”.

Ma, al di là di ciò, che le bombe rappresentino un momento di pace, di gioia e di libertà non riusciranno mai a farmelo credere.

Di fondo, stanno riciclando la stessa formula con cui, nel 2001, hanno provato a renderci complici della guerra in Afghanistan: usare la retorica della liberazione delle donne dal burqa per accattivarsi le simpatie femministe… Continue reading

Gineologia: un paradigma postvittimista per la liberazione

Ho voluto tradurre questo intervento sulla Gineologia perché credo possa essere un prezioso nutrimento per chi, nel movimento delle donne in Italia, sente la necessità di aggiornare la propria cassetta degli attrezzi nonché l’urgenza di un cambiamento radicale di metodo e di prospettiva in chiave postvittimistica.

Il giusto rifiuto nei confronti di un femminismo rampante che elemosina briciole di potere non è sufficiente a risolvere la difficoltà di mettere a fuoco pratiche in grado di rivoluzionare l’esistente dalle radici. Per scardinare il sistema patriarcale nelle sue declinazioni economiche, politiche, sociali e culturali occorre un nuovo paradigma.

Nei paesi occidentali gli Women’s Studies, nati in origine come strumento di critica dei saperi, si sono spesso ridotti ad uno sterile accademismo, del tutto innocuo nei confronti del sistema di sapere dominante – che talvolta li ha perfino sventolati come proprio fiore all’occhiello.

La Gineologia, invece, traendo le proprie radici da un percorso di trasformazione complessiva – qual è quello che le donne kurde stanno portando avanti con determinazione – ci conduce in un’altra direzione.
Sta anche a noi comprenderne la portata…

Ringrazio Nora, che ha fatto la revisione di questa non facile traduzione.

Per approfondimenti, si veda anche il mio Inanna/Ištar: potenza della dea e immaginario postvittimista

*  *  *

Da Kurdish Question

Gönül Kaya è giornalista e rappresentante del movimento kurdo delle donne. Questo articolo è la trascrizione del suo intervento alla Jineology Conference che si è tenuta a Colonia (Germania) nel marzo 2014.

P11733-300x192erché la Gineologia? Ricostruire le scienze per una vita libera e comunitaria
di Gönül Kaya

Il Movimento delle donne libere del Kurdistan considera la Gineologia come un passo importante nell’autodifesa e nella lotta trentennale per la mobilitazione intellettuale e ideologico-politica.

Vorrei introdurre, seppur brevemente, i principi fondamentali della Gineologia, che il movimento kurdo delle donne offre al movimento delle donne nel mondo.

La Gineologia è descritta dalla lotta di liberazione delle donne kurde come la “creazione di un paradigma delle donne”. Questa posizione rappresenta una nuova fase dal punto di vista del movimento delle donne kurde. Continue reading

Ellerinde Pankartlar

Abbiamo stampate negli occhi le immagini di donne e uomini che stanno cantando e ballando ad Ankara quando all’improvviso c’è la prima esplosione di questa ennesima strage di Stato in Turchia, di cui una genalogia si può leggere qui.

I manifestanti cantavano e ballavano Ellerinde Pankartlar, del famoso autore Ruhi Su, composta per commemorare le sanguinose celebrazioni del 1 maggio 1977 a Piazza Taksim, quando cecchini appartenenti all’estrema destra turca, in collaborazione con i servizi segreti, iniziarono a sparare sulla folla raccolta nella piazza. Almeno 37 persone vennero uccise ed oltre 200 ferite. Il Primo maggio 1977 fu un bagno di sangue che preannunciava il golpe del 1980.

Leggi il racconto che ne fa Sakine Cansiz – all’epoca incarcerata – nel suo libro Tutta la mia vita è stata una lotta.

Nel video circolato sabato scorso, quando la prima bomba esplode il gruppo sta per pronunciare la famosa strofa “questa piazza, la piazza di sangue”…

Erdogan assassino!
Biji Kurdistan!

1 maggio 1977, Istanbul

1 maggio 1977, Istanbul

10 ottobre 2015

10 ottobre 2015, Ankara

Con le bandiere in mano
Questi giovani, se ne vanno
Alzatevi in piedi, resistete
Questi giovani se ne vanno

Questa domenica, la domenica di sangue
affligge l’ingiustizia, fornisce il rimedio
Alzatevi in piedi, resistete
Questi giovani se ne vanno

Questa piazza, la piazza di sangue
La freccia è scoccata dall’arco
Alzatevi in piedi, resistete
Noi dalla città, voi dal villaggio

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Miseria e arroganza del suprematismo

Dal blog dakobaneanoi, un interessante intervento di Dilar Dirik, giustamente impietoso nel mostrare le miserie della whiteness e dei suoi privilegi.
Buona lettura!

white_privilege L’immaginazione di alcuni esponenti della sinistra che vanno in Rojava dai paesi a capitalismo avanzato e si aspettano di trovare lì una rivoluzione senza macchia, perfetta, priva di contraddizioni, liscia e compiuta – e buttano via tutto quando non appare come se la sono raffigurata nelle loro versioni imbiancate che servono solo a rinforzare la loro struttura ideologica – illustra molto bene una questione più ampia della sinistra in Occidente: essa è troppo d’élite per conoscere le realtà sociali di base (perché la maggior parte di queste persone interessate non sono affatto “la base”: sono ontologicamente borghesi, a prescindere dalla loro presunzione), troppo positivista per cogliere le profonde questioni sociali che hanno molto più a che fare con le speranze e i dolori  storico-emotivi delle persone che con le strutture teoriche, e troppo pigra per sforzarsi e provare la fatica di mobilitare quello che astrattamente chiamano “il popolo”.

Il maggior problema  della sinistra bianca è quello di essere più occupata a parlare di radicalismo in modo inaccessibile, con compagni di lotta che godono degli stessi privilegi e dello stesso vocabolario, piuttosto che risolvere veramente i nodi gordiani della società.

In particolare, il maschio bianco istruito ha il lusso e il privilegio di poter visitare ogni luogo di rivoluzione, di appropriarsene a suo piacere e di criticarlo, senza clausole e senza mai sentire la necessità di guardare nel proprio cortile. [Non potrò mai perdonare l’arroganza della donna che, dopo aver trascorso tre giorni in Rojava, ha detto con disinvoltura “Sono andata in Afghanistan nell’anno X ed erano molto meglio organizzati di voi, ragazzi”]. Continue reading

Contro il genocidio di Erdogan, per la liberazione delle donne e l’autodeterminazione dei popoli

Le donne di Bakûr (Nord Kurdistan) in testa alla carovana per Cizre. Foto dalla pagina facebook di Dilar Dirik

Le donne di Bakûr (Nord Kurdistan) in testa alla carovana per Cizre. Foto dalla pagina facebook di Dilar Dirk

 

 

 

 

 

 

 

 
 

Comunicato per uno spezzone femminista alla manifestazione di Milano del 14 settembre, dal blog dakobaneanoi

EKIN WAN È ANCHE LA NOSTRA RESISTENZA NUDA!
Scendiamo in piazza contro le politiche genocide di Erdogan e dello Stato turco

Contro tutti i patriarcati di Oriente e Occidente

Per la liberazione delle donne e l’autodeterminazione dei popoli

Lo scorso agosto le forze di sicurezza turche hanno spogliato, trascinato per strada legato ad una corda e poi abbandonato nella piazza del paese il cadavere della guerrigliera kurda Kevser Eltürk (nome di battaglia Ekin Wan), facendo successivamente circolare l’immagine sui social network.

Non si è trattato di un deliberato atto sadico, ma di un avvertimento mafioso alla popolazione kurda: tutti e tutte farete questa fine, se non ve ne state buoni e zitti.

Il colonialismo si è sempre servito del dominio sui corpi delle donne esibiti come metafora del proprio dominio sui territori colonizzati.

E così Erdogan ha voluto ribadire il dominio neocoloniale sulla popolazione kurda, mentre il suo partito (AKP) stava creando le premesse per un colpo di stato, dopo aver perso la maggioranza assoluta alle scorse elezioni. Continue reading

Apriamo gli occhi, fermiamo il colpo di stato di Erdogan!

In Turchia il partito di Erdogan (AKP) ha creato tutte le premesse per un colpo di stato, dopo aver perso la maggioranza assoluta alle scorse elezioni.

I giornali italiani non ne parlano o ne parlano in modo pilotato.
Non c’è da sorprendersi, ma nemmeno c’è da restare con le mani in mano.

Va letta in questa chiave la strage di Suruc, al confine con la Siria, dove lo scorso 21 luglio sono state massacrate decine di giovani che si erano trovati lì per andare a Kobane con progetti solidali.
Quella strage è stato il pretesto per riprendere la guerra contro il PKK (che, lo ricordo, nell’agosto 2014 ha aiutato la popolazione yezida a fuggire dal massacro di Shengal, mentre i peshmerga se l’erano data a gambe davanti a ISIS) e contro tutta la popolazione kurda e le altre minoranze.

Non è vero che la Turchia sta combattendo contro ISIS: ne è, invece, complice, come è stato più volte dimostrato da filmati e confermato dai mercenari di ISIS catturati dalle Unità di (auto)difesa delle donne e della popolazione (YPJ/YPG) che combattono in Rojava (nord della Siria).

Intere zone del Kurdistan del nord (in Turchia) sono state militarizzate, in più di 100 aree è stato imposto imposto il coprifuoco, i cecchini sparano sulla popolazione civile, i militari impediscono l’ingresso delle ambulanze e del personale sanitario nei quartieri e così i feriti e gli ammalati muoiono, mentre le donne sono costrette a partorire in situazioni estreme; vengono impediti perfino  i funerali, per cui le famiglie stanno cercando di ritardare la decomposizione dei loro cari, uccisi dai cecchini e dalle forze speciali, con bottiglie di acqua ghiacciata.

Ci sono città isolate da giorni, come Cizre, dove ormai si è perso il conto delle vittime civili, tra cui bambini e bambine. Una carovana sta cercando di raggiungere a piedi la città, ma i militari lo stanno impedendo con blocchi e cariche ripetute – malgrado sia composta anche da parlamentari dell’HDP – seguendo gli ordini del ministero dell’Interno.

Negli ultimi giorni i fascisti ultranazionalisti hanno moltiplicato le aggressioni contro la popolazione kurda in tutta la Turchia; sono in atto linciaggi; case e negozi di kurdi, armeni e aleviti vengono dati alle fiamme; più di 300 sedi del partito filo-kurdo sono state incendiate sotto lo sguardo compiacente della polizia.

In tutte le zone la popolazione curda ha organizzato la propria autodifesa, ma le azioni militari la stanno stremando.

Nei prossimi giorni una carovana internazionale si ritroverà a Suruc per cercare di aprire un corridoio per gli aiuti umanitari per Kobane alla frontiera tra Turchia e Siria – una frontiera dove quotidianamente i militari stuprano, torturano, ammazzano chi cerca di passare.

La famiglia di Aylan, il bimbo che il mare ha riportato sulle sponde turche e che ha tanto toccato (spesso ipocritamente) i cuori di mezzo mondo, veniva proprio da Kobane.

Della sua tragica storia hanno parlato tutti i giornali, ma chi parlerà della bimba di 10 anni che questa mattina a Cizre è stata ammazzata dai cecchini mentre, a mani alzate, correva verso il cadavere del padre – ennesima vittima civile – ucciso poco prima dai militari?

Non sto esagerando: questo è ciò che sta accadendo in Turchia. Continue reading

Donne di Shengal, un anno dopo

Ricorre oggi il primo anniversario del genocidio di donne e uomini yezidi a Shengal (Sinjar), nel Kurdistan irakeno, per mano degli stupratori e massacratori di ISIS.

Fu solo grazie all’intervento dell’HPG (alias, il PKK) e delle guerrigliere delle YJA Star che venne aperto un corridoio di sicurezza per permettere alla popolazione yezida – scampata al massacro e ai rapimenti – di mettersi in salvo.

Nel video della cantante kurda Tara Mamedova, rivediamo quella tragedia impressa nei volti delle donne in fuga da Shengar.

Durante l’anno trascorso da allora, sempre più donne yezide sono entrate a far parte della guerriglia, in Unità di (auto)difesa esclusivamente di donne: le YPJ-Shengal.

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Strage di Suruc: presidi di solidarietà

dal blog dakobaneanoi

“Abbiamo difeso Kobane insieme, la ricostruiremo insieme”, questo il nome della campagna per la ricostruzione di Kobane che animava le giovani vite distrutte ieri mattina – 32 morti e oltre 100 feriti – da un attacco suicida nel centro culturale curdo Amara di Suruc, nel Kudistan turco, attivissimo nel sostegno ai profughi.

Un attacco pianificato a tavolino, visto che alla stessa ora un veicolo imbottito di esplosivo cercava di buttarsi contro un checkpoint delle YPG a Kobane. E proprio a Kobane stavano dirigendosi quelle centinaia di giovani turchi/e e curdi/e, per costruire una biblioteca e un parco giochi e ripiantumare un bosco.

Più voci denunciano le responsabilità del governo turco nel massacro di giovani donne e uomini della Socialist Youth Associations Federation (SGDF), dell’HDP (People’s Democratic Party), dell’ESP (Socialist Party of the Oppressed) della BEKSAV (Science Education Artistic Culture and Arts Research Foundation) e di Anarchist Activity, che avevano appena ascoltato le testimonianze dei familiari di Suphi Şoreş, comandante delle BÖG (United Forces of Freedom), e di Leyla Doğan, combattente delle YPJ, entrambi morti combattendo contro ISIS a Serekaniye e a Kobane.

Ieri sera la polizia turca ha caricato violentemente con idranti e lacrimogeni le/i manifestanti che ad Istanbul gridavano “Erdogan assassino”, “Erdogan collaboratore” e “Vendetta per il PKK”.

Per oggi, nel Kurdistan del Nord è stata dichiarata una giornata di lutto.

Per approfondimenti rimandiamo direttamente a Firat News e Uiki Onlus, in continuo aggiornamento, mentre i presidi di solidarietà vengono man mano annunciati da Retekurdistan.

Al momento possiamo segnalare:
martedì 21 luglio
TORINO: ore 17 – p.zza Castello
MODENA: ore 18 – largo Garibaldi (Teatro Storchi)
ROMA: ore 19 – p.zza dellla Repubblica
PARMA: ore 21 – p.zza Ss. Annunziata

mercoledì 22 luglio
CAGLIARI: dalle 10 alle 13 – Piazza Palazzo (di fronte alla Prefettura)
MILANO: dalle 16 in poi – piazza Duomo