La trappola più perversa

Per uccidere i lupi spesso gli inuit insanguinano la lama di un coltello lasciando che il sangue si congeli, strato dopo strato. Quando la lama è completamente ricoperta di sangue, seppelliscono il manico del coltello nel ghiaccio con la lama che sporge verso l’alto.
Il lupo sentendo l’odore del sangue si avvicinerà alla lama, l’annuserà e inizierà a leccarla sempre più avidamente, senza accorgersi del moltiplicarsi dei tagli sulla sua lingua ormai congelata.
Ma, anzi, trovando irresistibile quell’odore di sangue caldo – il suo stesso sangue! – si taglierà sempre più la lingua, fino a morire dissanguato.

Questa trappola, a mio parere la più perversa, mi sembra un’efficace metafora dell’epoca in cui viviamo, soprattutto in questa parte del pianeta: un’epoca i cui coltelli insanguinati sono le narrazioni dominanti e suprematiste sulle magnifiche sorti e progressive del neoliberismo: biotecnologie&vaccini, guerre, democrazia&sicurezza, benessere&ricchezza, transizione ecologica…

E tutti/e a leccare, leccare, leccare…

Opera di R. Zhao Renhui

Dedicato a Sylvia Rivera e alla bottiglia che lanciò

Sylvia Rivera

Come è noto, una recentissima sentenza della Corte suprema statunitense ha reso illegale l’interruzione di gravidanza, rendendo ancora più difficile la vita delle donne in quella che continuano a spacciare come ‘patria dei diritti’ – malgrado si sia poco-niente evoluta dalla mentalità da Far West su cui è stata fondata, sterminando la popolazione nativa o relegandola nelle riserve.

I peggiori guerrafondai sono immancabilmente proprio quelli che si sbracciano contro le donne che abortiscono. Si chiama difesa ipocrita della vita.
Verrebbe da pensare che ritengano le donne delle mere incubatrici-riproduttrici da sfruttare in base alle esigenze del capitale e della propagazione della ‘razza bianca’, in particolare se si tiene conto delle campagne statunitensi per la sterilizzazione forzata del secolo scorso e di quelle ancora in atto oggi in quei territori…

Per parlare di difesa ipocrita della vita, per altro, non c’è bisogno di andare Oltreoceano: l’altra sedicente ’patria dei diritti’, l’Europa, non è da meno.
Che dire della Polonia, oggi più guerrafondaia&antiabortista che mai? O della stessa Italia che pullula di obiettori negli ospedali, che ha imposto ‘per il nostro bene’ sieri sperimentali i cui effetti deleteri emergono di giorno in giorno con sempre maggiore chiarezza e che si affanna ad alimentare una guerra dopo l’altra?

Inutile dilungarsi con altri esempi: basta guardarsi intorno o informarsi un po’ per trovarne a iosa.

Mi preme, invece, rilevare come sia sempre più ricorrente l’espressione (terribile quanto assurda) “diritto di aborto”, che da una parte dissimula l’incapacità maschile di praticare una sessualità non riproduttiva/penetrativa e dall’altra impone di leggere le contraddizioni del reale in un’ottica meramente dirittista, quindi delegando tutto allo Stato e ai suoi apparati e sottraendo, nei fatti, ogni spazio all’autodeterminazione e a chi la pratica veramente.

La mentalità dirittista è ormai talmente pervasiva che può capitare di leggere nella piattaforma di un Pride X in una città X, «Vogliamo una nuova legge sull’autodeterminazione di genere sulla base del “consenso informato”».

Essendo una ‘ragazza’ dello scorso millennio, nella mia testa autodeterminazione e legge sono categorie opposte.
Si è forse ormai persa ogni capacità logica al punto che l’autodeterminazione vien fatta coincidere con la sovradeterminazione?

In questo mio sito, così come nei miei testi, ho abbondantemente scritto di autodeterminazione, quindi non mi dilungo neppure su questo punto e mi limito a segnalare, tra i tanti, il post Come uno zoccolo negli ingranaggi del patriarcato.

Decenni dopo la rivolta di Stonewall, di cui questa notte ricorre l’anniversario, la deleteria mescolanza di perbenismo borghese e postmodernismo hanno smantellato le istanze di rabbia e autodeterminazione espresse in quella e altre rivolte, addomesticandole per misere carrierucole di politicanti o per altrettanto misere rivendicazioni ‘dalla base’ – una base per altro senza base se pensiamo, ad esempio, alle rivendicazioni contro razzismo e abilismo in cortei dove sfido chiunque a trovare immigrati/e o disabili.
Come scriveva Luciano Parinetto, «Il riconoscimento alienato è la perdita stessa dell’autenticità: di quel diverso che rendeva l’eros testimone di una radicale contestazione della atomizzazione consacrata dal capitale» (Faust e Marx, 1989).

La lotta contro pregiudizi e discriminazioni specifici agiti contro individualità e/o soggettività specifiche sta trasformandosi nell’ennesima notte in cui tutte le vacche sono nere, in cui tutto è indistinto, è – sartrianamente – una serie o, meglio, una serie di serie.

Capita quindi che qualcuno/a attinga dalla palude degli -ismi per accusare di abilismo chi ha scelto, ad esempio, di autodeterminarsi rispetto all’inoculazione di sieri sperimentali, sottraendosi alla pressante campagna vaccinale fino, magari, al punto di perdere il lavoro.

Così come l’autodeterminazione da pratica si rovescia in ‘diritto’ che deve essere concesso dall’alto, la difesa autentica della vita, rovesciandosi in difesa ipocrita della vita, può andare a braccetto con le logiche di guerra e con quelle di depredazione, sfruttamento e sterminio del vivente.
Senza contraddizione alcuna. Anzi: avanti a tutta dritta, verso la catastrofe!

Di emergenze, armi biologiche e altre amenità del presente

La notizia della scoperta di decine di laboratori per la guerra biologica in Ucraina aveva fatto immediatamente sorgere in me un’ovvia domanda: quanti altri laboratori di quel genere ci sono in Italia e nel mondo? E dove, di preciso?

Inutile cercare nel web le risposte perché non se ne trovano (segreto militare…).
Anzi, nel sito della Rappresentanza permanente d’Italia alle Nazioni unite troviamo affermazioni quali:
La Convenzione sulle armi biologiche (Convention on Biological Weapons – BWC) vieta lo sviluppo, la produzione e la detenzione di armi batteriologiche (biologiche) e tossiniche (virus, batteri, microrganismi, spore, tossine) e impone la distruzione degli stock esistenti. Entrata in vigore nel marzo 1975, essa è il primo trattato multilaterale che vieta la produzione e l’utilizzo di un’intera categoria di armi. A oggi è stata ratificata da 183 Stati e firmata da altri 4
oppure
Per l’Italia, che considera la BWC uno strumento fondamentale per il divieto della produzione, sviluppo, acquisizione e utilizzo di agenti biologici e tossinici come armi di distruzione di massa, l’universalizzazione della Convenzione e il suo rafforzamento, soprattutto sul versante della sua applicazione da parte dei Paesi membri, costituiscono delle priorità
o, ancora,
Infine, l’Italia è particolarmente impegnata nell’assicurare un appropriato monitoraggio e valutazione degli sviluppi tecnologici e scientifici in campo biologico suscettibili di avere impatti negativi sull’attuazione della Convenzione.

Eppure se si scava un po’ a fondo, le cose non stanno proprio così. Anzi!
Senza farla lunga, vi invito caldamente ad ascoltare l’intervista a J. Tritto sulle “Chimere emergenti” pubblicata da Ovalmedia, che dà risposta a queste e a tante altre domande.

Ora diventa chiaro che l'”emergenza sanitaria”, inventata di punto in bianco col pretesto del covid-19, era in realtà una emergenza bellica.
D’altra parte lo ha dimostrato anche il susseguirsi di generali della Nato – Figliuolo prima e Petroni poi – alla carica di “Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 e per l’esecuzione della campagna vaccinale nazionale”.
Se di guerra si tratta ci vogliono i generali, mica i medici!

Alcuni giorni fa sono stata invitata da un gruppo di studenti contro il green pass per parlare del paradigma scientifico riduzionista, di cui qui potete ascoltare l’intervento iniziale (molte altre cose sono state dette nel corso del dibattito, non registrato).

Come sempre, quando ho spiegato che secondo me il problema non è tanto il green pass quanto lo stato d’emergenza di cui quel lasciapassare non è che un corollario come corollari ne sono stati il lockdown, il coprifuoco, la militarizzazione e tutte le altre vessazioni più o meno belliche cui siamo stati sottoposti per oltre due anni delle nostre preziose vite, ho notato degli sguardi perplessi. Ancor più perplessi nel momento in cui ho spiegato come, a mio parere, dietro le quinte ci sia sempre la guerra.

Eppure non un complottista-terrapiattista ma uno scienziato come Tritto ci spiega con dovizia di particolari, di fondo, la stessa cosa: tra guerra e pandemia non c’è soluzione di continuità. E, soprattutto, non è che l’inizio.

Non mi dilungo oltre.
Preferisco lasciare che ciascuno e ciascuna provi a ragionare – malgrado le torride giornate che l’incazzatissima natura ci sta ‘regalando’ a monito – su cosa significhi deterrenza batteriologica e che implicazioni abbia sulla nostra salute e sulla nostra esistenza nel suo complesso.
E, auspicabilmente, decida che è ora di mobilitarsi per l’uscita dell’Italia dalla Nato e dalla colonizzazione statunitense. E anche per lo scioglimento della Nato. Perché no?!

Quando la polvere ha il colore della morte…

Taranto

«Vedi quella polvere rossa? È diossina», dice C. indicandomi il guard-rail mentre passiamo in auto sotto quel mostro industriale che da decenni devasta la salute di chi vive a Taranto: l’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia.

Immediatamente penso al Vietnam, agli oltre 7 milioni di litri di Agent Orange copiosamente irrorati dall’esercito statunitense su foreste e giungla per stanare la resistenza dei Vietcong. Penso alle generazioni che, nei decenni, hanno pagato e continuano a pagare il prezzo di quella guerra (video 1 e 2).
Penso a Seveso, uno dei poli di produzione segreta di quella maledetta sostanza.

Vietnam

Sono a Taranto – nel “cuore della bestia” – proprio per un incontro pubblico sui nessi tra guerra, capitale e militarizzazione/devastazione della salute e dei territori.

Sono a Taranto e penso alla criminale ipocrisia di Draghi e della classe politica italiana che, dopo aver imposto alla popolazione di inocularsi dei sieri sperimentali “per la propria salute”, ha deciso di incrementare, raddoppiandola, la produzione dell’ex Ilva da 4 a 8 milioni di tonnellate.

Ne parliamo in cerchio: siamo tutte e tutti «esperti sulla propria pelle», come avrebbe detto Maccacaro (qui potete ascoltare le tre parti del mio intervento: 1, 2, 3).

Al termine della serata una compagna mi racconta del cancro incurabile di suo figlio diciottenne e mi racconta di tutti quelli che abitano “ai Tamburi”, proprio sotto le ciminiere del mostro, e che, malgrado tutto, non se ne vogliono andare da lì.

La guerra non è soltanto altrove. La guerra è anche qui, nel nostro quotidiano e nei nostri corpi, con la sua logica, il suo linguaggio e le sue produzioni di morte.

Essere antimilitarista significa lottare contro lo stato di cose presente, che è stato di guerra permanente, emergenza infinita, insaziabile fame di profitti, inarrestabile scia di morti.
Il resto sono parole al vento, quel vento che, come a Taranto, porta la morte nelle case e nelle strade…

Achtung Alpinen!

Da qualche giorno si parla delle numerose molestie che molte donne hanno vissuto in occasione del raduno degli alpini a Rimini.

Nulla di nuovo: già nel 2018 in questo sito avevo riportato le testimonianze di compagne trentine (1 e 2) che raccontavano le stesse dinamiche patriarcal-militari. E chissà se anche questa volta il pronto soccorso ginecologico dell’ospedale cittadino è stato rafforzato in occasione dell’arrivo dell’orda pennuta…

Chi finge di scoprire oggi l’acqua calda, per altro invitando le donne a denunciare, ha per caso detto mezza parola quando la salute di un intero paese è stata militarizzata e proprio ad un alpino, generale della Nato, è stata affidata la distribuzione di sieri da sperimentare sulla pelle di quella stessa popolazione?

Figuriamoci! Mai state così tanto zitte, le sedicenti femministe!!!

E oggi che soluzione propongono alle molestie di Rimini? Ovviamente non l’auspicabile assedio di donne alle sedi degli alpini per urlare un collettivo e tonante ‘NO!’, né tanto meno una mobilitazione che dica, una volta per tutte, che non ne possiamo più di militari e militarizzazione.

Anzi: la soluzione proposta è quella di rivolgersi alle divise per denunciare altre divise. Complimenti! Così le donne che hanno vissuto sulla propria pelle le molestie dovranno anche dimostrare con prove la veridicità delle loro affermazioni, lasciando ulteriore spazio alle schifezze che già dal mondo degli alpini – e delle alpine… – si vanno moltiplicando a propria difesa.
Davvero femminista come pratica, non c’è che dire!

Ma costoro si rendono conto o no che in questo modo non si fa altro che ribadire quella stessa logica perversa sdoganata dall’operazione ‘strade sicure’ per cui la sicurezza delle donne sarebbe garantita dai loro potenziali (e non solo potenziali, se pensiamo a Francesco Tuccia) stupratori in divisa?

A questo punto perché queste sedicenti femministe non chiedono che la fanteria o il settimo cavalleggeri presidino la città in cui si terrà il prossimo incontro?

Inutile dire che nemmeno ci provo a far ragionare costoro, poiché dalla sua nascita nudm non fa che elemosinare leggi e soldi allo stato patriarcale e la radicalità femminista non è proprio nelle sue corde.

Che continuino pure sulla loro strada suicida costoro; ma noi, femministe non addomesticate né addomesticabili, che intendiamo fare?
Ci andiamo o no sotto le sedi degli alpini?

E, soprattutto, vogliamo organizzare o no un bel ‘benvenuto’ per quando questa orda di molestatori avvinazzati si presenterà a Udine nel 2023?

Tra l’altro quelle zone sono state anche la culla di Gladio, la Stay Behind italiana, e, della Protezione civile dopo il fallito tentivo di Scelba di fondarla per il controllo (para)militare del territorio (*)…

Serve aggiungere altro?

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(*) Non finirò mai di ringraziare Alessandra Kersevan per avermi illuminata su queste e altre friulane ‘coincidenze’ non casuali, in occasione di una iniziativa a Udine in cui ero stata invitata a parlare di militarizzazione della salute e dei territori

Cassandra?

Non più di un mese e mezzo fa scrivevo, a proposito dei neonazisti ucraini, «è bene essere consapevoli che tra un po’ avremo a che fare con costoro e con i loro sodali da tutta Europa, armati fino ai denti dai governi occidentali».

Non serviva la sfera di cristallo ma solo un po’ di lucidità politica per prevedere ciò che si sta puntualmente realizzando: il moltiplicarsi, in Italia, di azioni intimidatorie e aggressioni di neonazi ucraini nei confronti tanto di donne (soprattutto) e uomini di nazionalità russa quanto nei confronti degli/delle antifascisti/e, come è avvenuto l’altro giorno a Bologna.
E non è che l’inizio.

Non c’è bisogno di essere Cassandra per immaginare quello che accadrà a breve visto, tra l’altro, che i neonazi ucraini presenti in Italia hanno da alcune settimane iniziato una mappatura di nomi e abitazioni di chi ritengono essere loro nemico.

Vi invito ad una visita – almeno virtuale – a Sant’Anna di Stazzema, per non dimenticare.

Nell’immagine sotto, la lapide che a Sant’Anna ricorda le molte vittime di una delle più efferate stragi naziste in Italia. Qui i nomi e l’età di ciascuna/o di loro.

Che due anni di pandelirio non finiscano nel dimenticatoio!

Il 23 e 24 aprile prossimi si terrà a Napoli il convegno autogestito Tutta un’altra storia. Un’occasione importante per ritrovarci e confrontarci e, soprattutto, perché non si perda la memoria della gestione autoritaria e delle vessazioni che hanno caratterizzato questi ultimi due anni.

Qui il programma e il testo dell’invito al dibattito.

La ‘femminista’ con l’elmetto non è una novità!

Leggo qua e là commenti sorpresi alle dichiarazioni di Rosi Braidotti sul criminale aumento delle spese militari. Nemmeno fosse una novità questo suo posizionamento guerrafondaio e neoliberista! Già durante la guerra contro la Jugoslavia Braidotti aveva preso posizioni apertamente filo-Nato, quindi non c’è proprio da soprendersi.

Nel lontano 2004 avevo scritto una lettera aperta al proposito, raccontando quello che avevo visto e vissuto nel dipartimento da lei diretto a Utrecht. La ripropongo oggi, perché è bene coltivare la memoria.

A lei e alle tante altre come lei erano dedicate anche le mie Riflessioni su ‘sorella’ Atena.

Una volta per tutte, la si smetta di sbandierare i nonni partigiani – veri o millantati – per difendere i propri privilegi!