Io sono una “terrorista”…

Mentre sui media mainstream del ricco Nord del mondo appaiono immagini di donne kurde combattenti che aiutano le/i profughi yazidi, il PKK continua ad essere considerato un’organizzazione terroristica.

Che operazione si cela dietro questo doppio gioco? Per offrire un paio di coordinate che aiutino a rispondere a questa domanda, lascio la parola direttamente alle compagne kurde.

Ieri

Io sono una “terrorista”. Così cominciava l’intervento che Hevi Dilara, militante kurda del PKK, fece a Roma l’8 novembre 2001, ad un mese dall’inizio della guerra in Afghanistan.

Ne riporto alcuni stralci (qui trovate l’intero intervento), quanto mai significativi in settimane in cui la pulizia etnica e gli stupri contro la popolazione yazida stanno diventando l’ennesimo pretesto per un intervento neocoloniale – che ovviamente già chiamano umanitario.

È strano il rovesciamento dei concetti, specie in tempo di guerra. I militari italiani combatteranno in Afghanistan fianco a fianco con quelle squadre speciali il cui nome suona sinistro in Turchia: “Ozel Tim”. Sono coloro che sette anni fa torturarono in una cella me e mio padre, uno davanti all’altra. Sono coloro che una settimana fa hanno ucciso sulla porta di casa Burhan Kocar, dirigente del partito Hadep, e tre giorni fa hanno sparato sui corpi di detenuti già morenti per fame ad Istanbul. Sono il simbolo del terrorismo di Stato che da quindici anni insanguina il mio paradiso, il Kurdistan.
[…] Neppure oggi, mentre nella mia terra permangono leggi d’emergenza e cinquemila militari turchi tornano a invadere il Kurdistan irakeno, abbiamo chiesto a nessuna alleanza internazionale di bombardare Ankara o Istanbul. Le bombe alimentano rabbia, paura e guerra. La giustizia non scende dai cieli né con le bombe né con gli aerei-bomba: può solo salire dalla terra, dal grido delle vittime.
[…] Noi lottiamo per esistere in pace e dignità. La nostra Intifada si chiama Serhildan, ed ha lo stesso significato della parola palestinese: camminare a testa alta. Lottiamo contro una globalizzazione che nega i kurdi, i palestinesi, gli indios, che nega interi continenti, ma anche bisogni e soggetti qui in occidente.
Lottiamo per esistere liberi e uguali, non per schiacciare altri popoli.

Oggi

Le bande ISIS, avendo una mentalità maschilista che ritiene legittimo schiavizzare e vendere le donne, hanno sequestrato centinaia di donne Yezidi, le hanno vendute nei mercati degli schiavi e trasformate in concubine. Centinaia di ragazze hanno subito mutilazioni genitali femminili (MGF), dopo l’occupazione di Mosul. ISIS sta cercando di trasformare le donne in un’ombra spezzando la loro volontà e identità. La base ideologica di queste bande è di schiavizzare, reprimere e sfruttare le donne, scrive il Movimento Europeo delle Donne Kurde (TJKE) nella sua dichiarazione All’opinione pubblica internazionale e all’umanità che resiste che invito a leggere per intero.

Questo, un breve estratto:

[…] Anche se ora gli USA e gli stati dell’UE dicono che è in atto una tragedia umanitaria e che provvederanno ad aiuti umanitari è evidente che il loro contributo all’espansione e alla radicalizzazione dei banditi di IS non spariranno per questo. Allo stesso modo non potranno nascondere il proprio silenzio di fronte agli attacchi al popolo palestinese. La politica di questi stati è una politica del divide-et-impera, che nutre conflitti tra gruppi etnici e religiosi nel Medio Oriente per rendere dipendente la regione, per poterla in questo modo sfruttare per i propri interessi imperialisti.[…]

Quando la strategia di dominio è, ancora una volta, quella del divide et impera, saper essere “un corpo solo” diventa fondamentale.

Invito, allora, ad una attenta visione di Come un corpo solo – video intervista a Sakine Cansiz, militante kurda assassinata insieme alle sue compagne Fidan Dogan e Leyla Soleymez nel gennaio 2013, a Parigi.

Qui sotto il manifesto recentemente diffuso dalle donne kurde.

Di seguito, un importante documento tratto da The New Middle East

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Le forze delle YPG e del PKK: Gli eroi non celebrati della guerra contro lo “Stato Islamico”

Il collaboratore esterno, il Dr. Saladdin Ahmed, ha conseguito il suo Ph.D in filosofia all’Università di Ottawa. Ha insegnato nei dipartimenti di scienze politiche e sociologia dell’Università di Duhok nell’anno accademico 2013-2014. Sta lavorando ad un libro dal titolo, “La distruzione di Aura e lo spazio totalitario.”

L’agenda fascista dello Stato Islamico (IS) rispetto alla popolazione yezida dell’Iraq non era un segreto per nessuno. Ma le forze dei Peshmerga del presidente del Governo Regionale Curdo (KRG), Massoud Barzani, che aveva promesso protezione agli yezidi di Sinjar e delle aree circostanti li ha abbandonati senza preavviso dopo che erano stati attaccati, lasciandoli al loro destino nelle mani dell’IS. Il risultato è stato un genocidio.

D’altra parte i curdi siriani stanno combattendo gli jihadisti, incluso IS, da oltre un anno. Hanno fatto questa resistenza alle forze estremiste nonostante il rifiuto di Barzani di sostenerli, anche solo togliendo l’embargo economico sul Kurdistan siriano. Sono stati i curdi siriani che sono andati in soccorso degli yezidi intrappolati sul monte Sinjar. In mezzo all’intrigo internazionale in crescita e il plauso per i Peshmerga del Kurdistan irakeno, il ruolo delle Unità di Difesa del Popolo (YPG) del Partito dell’ Unione Democratica (PYD) e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è stato seriamente ignorato.

Per ricapitolare: il 3 agosto le forze del Partito Democratico del Kurdistan di Barzani (KDP) hanno disertato le loro posizioni in ed attorno a Sinjar lasciando centinaia di yezidi e altre minoranze religiose alla mercé dello Stato Islamico (IS). Dato che le forze del KDP non hanno informato i civili della loro cosiddetta “ritirata,” e perché il tutto è successo senza che ci fossero effettivamente combattimenti, la gente di Sinjar si è svegliata quella mattina trovandosi sotto la bandiera nera dello Stato Islamico.

IS, considera il genocidio degli yezidi come un dovere religioso, da allora ha catturato centinaia di ragazze e donne yezide e le ha costrette alla schiavitù sessuale. Allo stesso tempo risulta che gli yezidi che hanno avuto la possibilità di fuggire sul monte Sinjar sono stati fuorviati da falsi rapporti da parte dei media del KDP secondo i quali i Peshmerga avevano liberato Sinjar, facendo sì che alcuni profughi scendessero dal monte, solo per trovare i miliziani dell’IS che li aspettavano per massacrarli.

Nei giorni successive i Peshmerga del KDP non solo non sono riusciti a riconquistare Sinjar come promesso, ma altre città sono cadute nelle mani dell’IS. Quando IS continuava ad avvicinarsi alle vicinanze a sud di Erbil e si è sparso il panico tra la gente della capitale curda irakena, pare che migliaia di appartenenti al personale della sicurezza del KDP abbiano smesso di presentarsi al proprio posto e le richieste del KRG per un intervento militare americano sono iniziate sul serio.

L’8 agosto, quando l’attenzione del mondo era rivolta alla decisione degli USA di impegnarsi di nuovo militarmente in Iraq e i Peshmerga di Barzani continuavano a disertare le proprie posizioni, le donne curde siriane e i combattenti uomini delle YPG, insieme ai loro compagni del PKK si erano già spostati da Rabiya verso la regione di Sinjar e nella città di Makhmur per difendere le aree lasciate vuote dalle forze del KDP. Ci sono persino rapporti secondo i quali avevano mandato forze a sud fino a Kirkuk per fermare l’offensiva dell’IS.

Nonostante i loro equipaggiamenti molto scarsi, in particolare a fronte degli armamenti avanzati dell’IS, dei quali molti abbandonati dall’esercito irakeno a Mosul, e il perdurare della lotta attraverso il confine nel Kurdistan siriano per respingere IS da villaggi e città nel Rojava, YPG e PKK si sono rivelate come le forze più competenti sul campo. Già il 4 agosto, il giorno dopo che migliaia di yezidi erano fuggiti sul monte Sinjar, viene riferito che guerriglieri delle YPG stavano proteggendo la gente dagli attacchi dell’IS.

Oltre all’embargo economico contro i curdi siriani da parte del KDP insieme alla Turchia e alle forze dell’IS. Per rafforzare l’embargo contro il Rojava, il KDP ha anche scavato un  fossato proprio lungo il confine che per i curdi ha sempre rappresentato occupazione e ingiustizia. Ciononostante le YPG e il PKK hanno messo da parte le dispute politiche con Barzani in questo momento di crisi nel Kurdistan irakeno. I curdi del Kurdistan occidentale (Rojava) e settentrionale (Bakur) hanno combattuto l’IS ai confini della regione del Kurdistan in Iraq che dovevano essere protetti dal KDP di Barzani. Inoltre, se non fossero intervenuti in modo così forte per combattere l’IS, forse nemmeno l’intervento americano sarebbe stato in grado di salvare Erbil.

Le lezioni da trarre da questo atto di solidarietà non si esauriscono nei metodi efficaci per combattere gli jihadisti – anche se con la vasta esperienza che le YPG hanno maturato su quel fronte andrebbero da tutti sollecitati anche consigli di questo genere. Il Kurdistan irakeno può e deve anche imparare dal Kurdistan siriano come attuare politiche più inclusive sotto tutti gli aspetti del governare, inclusa la loro struttura e il funzionamento delle forze armate.

Come il Rojava, il Kurdistan meridionale dovrebbe coinvolgere i diversi popoli della regione, non solo i curdi etnici e non solo gli uomini. In questo modo la grande regione del Kurdistan, nonostante i confini che separano ciascuna delle parti sarà unita nel suo impegno per staccarsi dalle politiche razziste che hanno dominato le politiche degli stati-nazione del Medio Oriente per decenni.

Infine, nel caso probabile in cui IS sotto la pressione dei bombardamenti americani contro le sue forze in Iraq presto manderà più forze in Siria, i curdi siriani continueranno a pagare un prezzo pesante per l’incapacità degli attori politici di mettere un freno a questa creazione arabo-sunnita. In effetti, a seguito dell’abbandono delle proprie postazioni e di armi americane avanzate da parte dell’esercito irakeno a Mosul il 9 giugno e solo due giorni dopo nella città di Tikrit, l’IS ha prontamente portato le armi conquistate in Siria dove da allora hanno sferrato attacchi contro I curdi siriani con ferocia ancora maggiore.

In questo contesto, non solo I curdi irakeni, ma la Comunità Internazionale nel suo complesso, dovrebbero ricordarsi dei sacrifici del Rojava nella crisi in atto in Iraq. Il Rojava si è guadagnato il diritto alla solidarietà e al sostegno della Comunità Internazionale attraverso la resistenza contro le forze dell’oscurità.

Traduzione a cura di Retekurdistan