Decolonizziamo l’immaginario, una volta per tutte!

Lo scorso 22 aprile è apparso su Repubblica un articolo dal titolo Eritrea, due generazioni di “meticci” con sangue italiano senza riconoscimento di paternità. L’autore, Vittorio Longhi, sostiene che “la mancata ammissione di paternità in Eritrea ha delle ragioni in parte storiche”. “In parte”?!? Ma è mai possibile che, dopo vari decenni che ricercatori e ricercatrici lavorano per far emergere le infinite porcherie e responsabilità del colonialismo italiano nel Corno d’Africa, ancora si debbano leggere affermazioni di questo genere?
Lo si vuole dire, una volta per tutte, che per coartare la forza-lavoro maschile nelle colonie sia l’Italia liberale che quella fascista hanno legittimato lo sfruttamento sessuale e domestico delle donne del Corno d’Africa? Lo si vuole dire che il “meticciato” è, nella stragrande maggioranza dei casi, l’effetto diretto di questo duplice sfruttamento quando non degli stupri coloniali col marchio tricolore?

Non bastasse questo, il titolo dell’articolo si richiama al biologismo più becero nominando il “sangue italiano”. Come se esistesse un “sangue italiano”!

Nel prossimo numero di Zapruder sarà pubblicato un mio intervento dal titolo Lo ius sanguinis. Una sintesi di dominio maschile e dominio razziale; chissà che non illumini qualche giornalista sui dispositivi che stanno dietro a certe espressioni apparentemente innocue…

Quando si smetterà di veicolare una mentalità razzista e coloniale e si cominceranno a fare davvero i conti con la storia per decolonizzare l’immaginario?

Si potrebbe anche solo cominciare da un esercizio semplice semplice, che non richiede grande fatica: farla finita con l’uso “scherzoso” (?!?!!!) del termine ambaradan, riconducendolo al suo vero e tragico significato – cioè una delle feroci battaglie della guerra d’Etiopia, appunto la battaglia dell’Amba (in italiano, collina) Aradam, che vide anche l’uso massiccio dell’iprite da parte dell’esercito fascista, come ben spiega Angelo Del Boca (qui, un brano da Italiani, brava gente?).

E dopo questo primo passaggio cominciare a leggere la, ormai, gran mole di ricerche sul colonialismo italiano (1, 2, 3) – a cui io stessa ho voluto dare un contributo – anziché fidarsi ciecamente delle semplificazioni – e falsificazioni – giornalistiche.