La banalizzazione del male

Tante sono le cose che mi stanno nauseando in questi mesi in cui il covid sembra l’unico problema che ci riguardi.

In questa monodimensionalità riduzionista di ogni discorso, una questione più di tutte mi fa infuriare: il proliferare dell’uso del termine negazionismo.

Non bastanti i ‘negazionisti’ del covid – categoria in cui si ritrova infilato/a a forza chiunque non si allinei col discorso dominante – ora ci sarebbero anche i negazionisti della neve. Manca solo di sentir definire negazionista chi non crede nell’esistenza di una o più divinità…

Ma il negazionismo ha una sua precisissima connotazione storica e politica. Gli studi di Enzo Collotti sono preziosi per comprenderne l’ideologia e il progetto sottesi.

L’uso inappropriato e volutamente sommario di questo termine non fa che ridimensionare le responsabilità storiche di fascismo e nazismo.

Processo, per altro, in atto da decenni – e, va detto, anche con la complicità di certa sinistra venduta al neoliberismo.
La condanna politica dell’antifascismo militante, dalla Volante Rossa ad oggi, il moltiplicarsi di inviti al dialogo e alla libertà di parola di neofascisti e neonazisti, sono stati soltanto alcuni degli strumenti di questo processo, i cui effetti si rispecchiano anche nel rafforzarsi delle reti nazifasciste e nel loro riorganizzarsi sul piano militare.

Anche questa banalizzazione del male alimenta l’immonda cloaca ideologico-politica che ci sta sommergendo in questi mesi – e da cui non sarà semplice uscire per lungo tempo, se mai ci riusciremo.

Occorre ridare senso e rigore alle parole che usiamo e rifiutarci di parlare un linguaggio che umilia le nostre intelligenze. Occorre tornare a ragionare, a confrontarci e a non permettere alcuna laida operazione sulla nostra storia e sul nostro presente. E per fare tutto questo occorre ritrovare la nostra dignità. Senza timori.

L’immagine del post è tratta dalla copertina degli atti del convegno “Nazismo oggi. Sterminio e negazionismo” (Brescia 10.12.1993)