“Le società benefiche prosperano sui poveri”…

Exploitation-rich-poor-noth-south-bloodsucking-14may11… nulla di nuovo, direte voi. E in effetti è così. Ma è anche vero che dietro le mezze verità emerse sulla ong Oxfam ce ne sono altre che è bene sapere.

Al proposito, pubblico la traduzione di una lettera pubblicata su The Guardian, che G. R. (che ringrazio di cuore!) mi ha inviato da Londra.

 

The Guardian Letters, 13 febbraio 2018
I crimini delle NGO vanno più in là di Oxfam

Le cifre per gli aiuti per il terremoto vanno da $10 miliardi a $ 13,4 miliardi.  Alcune di noi che hanno visitato Haiti hanno visto pochi o nessun segno di quei soldi, scrivono le attiviste.

Nel 2008 alcune di noi avevano scritto una lettera a Barbara Stocking, allora Amministratore Delegato di Oxfam, obiettando a un rapporto su Haiti sponsorizzato da loro, Rule of Rapists (Il dominio degli stupratori), che etichettava gli haitiani come stupratori mentre nascondeva gli stupri delle forze occupanti dell’ONU.  L’anno prima, 114 soldati erano stati mandati a casa per aver stuprato delle donne e delle ragazzine, alcune di 11 anni.  Non venne denunciato nessuno.  Scrivevamo: “Da decenni NGO come Oxfam sanno degli stupri da parte dei soldati ONU, come anche da parte dei lavoratori degli aiuti e delle società benefiche.  È la pressione da parte delle donne [e delle ragazzine] nelle comunità più impoverite che hanno avuto il coraggio di parlare, che alla fine ha vinto … un riconoscimento pubblico.”  Non ci fu nessuna risposta.
Le recenti rivelazioni di abusi sessuali da parte di importanti società benefiche (Report, 13 febbraio), non sono che un aspetto della corruzione delle NGO.  La gente di Haiti è stata la prima a liberarsi dalla schiavitù, ma i “padroni” coloniali che sconfisse – Francia, Gran Bretagna e USA – hanno continuato a saccheggiare e a sfruttare, anche attraverso l’esportazione delle NGO.  Haiti ha più NGO per miglio quadrato di qualsiasi altro paese e rimane il paese più povero dell’emisfero occidentale.  [Ian Birrill aveva ragione:] La corruzione trova il suo inizio e la sua fine con le potenze neo-coloniali.
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Roma – CIE di Ponte Galeria: lo Stato risponde alla violenza di genere con le deportazioni

Da hurriya.noblogs.org

Riceviamo e diffondiamo. Per scriverci e inviarci contributi hurriya[at]autistici.org

Retate nelle strade, stupri, soprusi e continue violenze nei centri di detenzione: questa è la quotidianità che lo stato offre alle donne migranti. Uno stato fascista e razzista fondato su machismo e cultura dello stupro; al di là dei propagandati progetti della polizia in difesa delle donne contro la violenza di genere, questo è uno stato che dice di proteggerti e nella realtà, al contrario, si trasforma in un ulteriore pericolo per la tua libertà e la tua vita.
Questo è ciò che è successo a Olga (nome di fantasia), una delle tante donne che spesso trovano il coraggio di liberarsi dalle loro relazioni violente. Olga è una donna ucraina che, nel momento in cui si è rivolta alle forze dell’ordine per denunciare le violenze agite da quello che era il suo compagno, è stata rinchiusa nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria, da dove la deporteranno a breve, perché la sua condizione di “irregolare” ha prevalso sulla sua richiesta di aiuto. Non si tratta di un caso isolato: ogni giorno le migranti devono vivere sulla propria pelle gli effetti di questo stato che le umilia, le sfrutta, le criminalizza e imprigiona per perpetuare poi le stesse violenze all’interno delle mura infami di un CIE.
Ogni giorno le donne migranti portano avanti le loro resistenze a questo sistema razzista fatto di confini e galere.
Non chiediamo allo stato di difenderci dalla violenza che esso stesso produce e di cui si nutre.
Quello che vogliamo è continuare a sostenere le lotte di chi a tutta questa brutalità si ribella, di chi resiste nei CIE, di chi si oppone alle deportazioni.
Quello che vogliamo è la libertà per tutte le donne recluse.

nemiche e nemici delle frontiere

Qui di seguito la trascrizione della telefonata con la donna detenuta nel CIE di Ponte Galeria. A causa di difficoltà di comprensione dell’audio, alcune parti sono mancanti e alcune sono state integrate tra parentesi per facilitare la lettura. [Continua a leggere su hurriya]

Lo stato è lo stato, il business è il business, il capitale è il capitale… E le donne?

Non sorprende che il noiosissimo tormentone sulle statue coperte per non “turbare” Rohani non abbia sfiorato il fatto che  l’Italia sia uno dei paesi che più utilizza, a fini commerciali, il corpo delle donne  – intero o a pezzi, a seconda dei gusti. (Mi chiedo, per altro, se gli abbiano messo il paraocchi perché non vedesse anche i cartelloni pubblicitari, le televisioni, ecc. ecc.).

Ma business is business (leggasi: il capitale è il capitale) e se usare i corpi femminili serve a vendere di più, d’altra parte per intascare fior di miliardi si può anche “censurare” una povera Venere.

Non si tratta di dispositivi differenti, anzi! Diciamo che l'”oggetto” donna viene svestito o impacchettato a seconda dei gusti del “cliente” e degli interessi del “venditore”. Così funziona lo stato patriarcale&capitalista. Non ci piove.

Questo stesso stato che si preoccupa di non turbare, con un paio di antiche tette marmoree, chi detiene il record delle impiccagioni, è anche quello che, dopo aver riempito gli ospedali di obiettori, ora pretende pure che le donne costrette ad abortire clandestinamente lo ingrassino con multe dai 5mila ai 10mila euro. E la chiamano “depenalizzazione”!!!

D’altra parte, come scrive Silvia Federici, È fondamentale vedere che oggi nella politica neoliberale, nella politica del capitalismo internazionale, non è tanto l’aborto in sé che conta, quanto il controllo sulla riproduzione. Non dobbiamo dimenticare che la stessa classe capitalistica che oggi cerca di limitare l’aborto è quella che in anni molto recenti organizzava i safari della sterilizzazione in India, in Indonesia. […] La questione è a chi spetta decidere, chi deve/può venire al mondo su questo pianeta: una decisione che gran parte della classe capitalistica, oggi, tanto quanto al tempo della caccia alle streghe, è determinata a non lasciare nelle mani delle donne. (S. Federici, Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, Ombre Corte 2014)

Quando si tratta di controllo sul corpo e sulla sessualità delle donne, gli stati riescono sempre a dare il meglio di se stessi.
Altri due esempi. Continue reading

Violenza di genere e femminicidi politici

La violenza di genere ha sempre una valenza politica, dal mio punto di vista, poiché è uno strumento utilizzato per perpetuare il secolare dominio del genere maschile sulle donne. Poco conta se questo uso sia sempre consapevole o sia frutto di una mentalità che inferiorizza le donne fino a renderle proprietà maschile, dunque schiave dell’uomo. È un dato di fatto storicizzabile, da combattere alla radice.

Esiste, poi, un uso politico della violenza di genere e del femminicidio, il cui obiettivo non è ‘solo’ quello di terrorizzare le donne per mantenerle in condizione di schiavitù, ma anche quello di terrorizzare un’intera popolazione. Generalmente questo secondo aspetto va di pari passo con la guerra.
Nella storia se ne possono rintracciare innumerevoli casi; il più recente è quello della guerra che il governo di Erdogan sta portando avanti, con rinnovata ferocia, nei confronti della popolazione kurda.

Ciò che è avvenuto a Colonia e in altre città a capodanno è terribile, senza dubbio. E non deve stupire che la mentalità patriarcale faccia uso anche dei social network per organizzare violenze di massa. O continuiamo a pensare, stupidamente, che il patriarcato abbia a che vedere con il feudalesimo e nulla abbia a che fare con la modernità e le sue tecnologie?

Ricordiamo bene le aggressioni sessuali di gruppo in piazza Tahrir, al Cairo, quando orde di maschi circondavano le donne, le molestavano e le stupravano per ‘punirle’ della libertà che si erano prese scendendo in piazza a protestare. Ma dovremmo anche ricordare bene  come, nell’arco di breve tempo, si organizzarono i gruppi di difesa e autodifesa delle donne.
E così anche in India, e in tante altre parti del mondo. Continue reading

Sorridiamo, donne: arrivano le bombe!

Da che la Francia, per vendicarsi degli attentati di Parigi, ha cominciato a bombardare Raqqa, “capitale” del cosiddetto stato islamico, sui media on line compaiono articoli che raccontano di donne che “sorridono alle bombe”, perché finalmente possono scoprirsi il volto e i capelli, mentre i Daesh fuggono per salvarsi la pelle.

Un giornale scrive: «Le incursioni degli aerei da guerra rappresentano per loro un momento di pace, di gioia: mentre gli uomini di Al Baghdadi fuggono, atterriti dagli attacchi, loro, le donne dei civili, corrono a prendere una boccata d’aria. Il velo però lo lasciano nel buio delle loro case semidistrutte: la libertà merita di essere assaporata a volto scoperto».

«Le donne dei civili», avete letto bene! Non «le donne» e punto, perché anche alle nostrane latitudini proliferano la mentalità da sultani e la cultura dello stupro, e una donna è sempre “la donna di qualcuno”.

Ma, al di là di ciò, che le bombe rappresentino un momento di pace, di gioia e di libertà non riusciranno mai a farmelo credere.

Di fondo, stanno riciclando la stessa formula con cui, nel 2001, hanno provato a renderci complici della guerra in Afghanistan: usare la retorica della liberazione delle donne dal burqa per accattivarsi le simpatie femministe… Continue reading

Sulla cultura dello stupro – Parte terza

La lettura che propongo oggi è ripresa dal blog Femminismo e materialismo. Si tratta di una riflessione importante non solo perché mette in discussione la metodologia riduzionista con cui sono stati raccolti gli ormai strafamosi dati Istat sulla violenza maschile contro le donne, ma anche e soprattutto perché, andando al di là di quei dati, l’autrice del blog si chiede “Come muterebbero […] i risultati se si chiedesse alle donne di dichiarare  se hanno mai praticato rapporti sessuali senza averne voglia?”, mettendo quindi l’accento sul consenso.

Infatti, secondo l’autrice, “Applicato ai rapporti sessuali, in un sistema patriarcale, in una condizione quindi di disuguaglianza, il consenso assume una precisa connotazione di genere ed esprime la disponibilità della donna ad appagare le istanze di godimento dell’uomo, a sottomettersi ai suoi desideri e al suo potere decisionale”.

La ricerca svolta da M. Barbagli, G. Dalla Zuanna e F. Garelli sulla sessualità maschile degli italiani e citata dall’autrice conferma questa asimmetria e fa emergere il nodo del consenso come questione prioritaria.

51NqU7WuOdL._SY498_BO1,204,203,200_ Per altro, le risposte citate in questa ricerca mi hanno riportato alla memoria un testo di Renata Pisu, Maschio è brutto. L’uomo italiano in trecento lettere sessuali (1976), che ho letto tanto anni fa. Si trattava di lettere inviate da uomini su tematiche inerenti la sessualità alla rubrica “La posta di Cristina” (dove Cristina Leed era lo pseudonimo usato da R. Pisu) di un settimanale diffuso fra gli anni ’60 e i primi anni ’70. Quelle lettere mettevano in luce non solo l’ignoranza e l’arretratezza dei maschi italiani per quanto riguarda la sessualità, ma anche come lo stupro fosse spesso concepito come comportamento “normale” (quando non veicolo di veri e propri “miracoli“!).

Non sto ad anticipare altro, e rimando alla lettura diretta dell’intervento, che riporto qui sotto. Continue reading

Sulla cultura dello stupro – Parte seconda

Ieri sera con alcune compagne si parlava di rappresentazioni oggettificanti del corpo femminile, complicità e postvittimismo.
Una di loro, che ringrazio tantissimo, mi ha segnalato il documentario Donne a metà di Mariano Tomatis, che non conoscevo.
Pur non trattandosi di un lavoro prodotto da una donna, ho deciso di ospitarlo in questo sito perché propone una prospettiva interessante sulla spettacolarizzazione/normalizzazione della violenza maschile contro le donne, senza indulgere in luoghi comuni ma ponendo domande.

Buona visione (si fa per dire…)

Sulla cultura dello stupro – Parte prima

Benché la cultura dello stupro sia ancora dominante, se ne parla ormai poco, soprattutto quando riguarda l’Occidente neoliberista.

Sono convinta che una prospettiva postvittimistica non trovi gambe per camminare se non rimette all’ordine del giorno l’analisi e la lotta contro questa cultura, a cui ci siamo talmente assuefatte da diventare, sempre più spesso, incapaci di riconoscerla nel nostro quotidiano.

Ho, così, deciso di cominciare a ripubblicare alcuni interventi di altre donne da cui chi vorrà potrà trarre spunti per analisi e – auspico – conseguenti pratiche.

Poco mi importa che si condividano al 100% questi interventi: il criterio in base al quale li ho scelti non è la corrispondenza col mio pensiero quanto, invece, il fatto che problematizzino il nodo in questione senza inutili dogmatismi o facili ricettucole trionfalistiche che non porterebbero da nessuna parte.

Mi auguro che questa prima ripubblicazione, a cui ne seguiranno altre, ci stimoli a recuperare le tracce di una memoria perduta, per scardinare le “cause che hanno portato gran parte del movimento delle donne su posizionamenti vittimistici facendo perdere quello slancio e quella radicalità che aveva negli anni ’70 […] alimentando un approccio “consumistico” della politica, del tipo usa-e-getta, che rende difficoltosa la continuità di un percorso politico collettivo” (Domande, riflessioni e spunti su etica, pratiche e orizzonti di liberazione, in dakobaneanoi).

Per cominciare, ho scelto un intervento di Mariella Bettarini e uno di Alyn Pearson, di cui potete fare il download cliccando sui nomi.

Dedico questo inizio di percorso alle due giovani donne indiane che il criminale e tutto maschile consiglio di villaggio aveva condannato allo stupro – fortunatamente senza riuscirci! – per riparare al gesto con cui il fratello aveva rotto la rigida gerarchia di caste.
La loro vicenda non riguarda soltanto un altro continente e dovrebbe sollecitarci a riconoscere e combattere la cultura dello stupro nelle sue declinazioni e dissimulazioni, oggi e qui.

Buona lettura!

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