Lager per disabili

La storia di Mattia è il titolo di un interessante reportage della brava Maria Elena Scandaliato, che vi invito a visionare e a non dimenticare.

Ringrazio per la segnalazione il collettivo antipsichiatrico Artaud, nel cui blog potete leggere sia i vari passaggi di questa terribile vicenda di cui è stato vittima Mattia, sia tante altre storie di ordinaria violenza psichiatrica.

Monopolio statale della violenza e dell’agonia

«Orso-che-corre trascorre oltre venti anni nel braccio della morte, dove si ammala gravemente: quasi cieco, ridotto su una sedia a rotelle e con il cuore ferito severamente da due infarti. La sua storia evidenzia un aspetto essenziale dell’agonia nella death row [braccio della morte]. Due mesi prima dell’esecuzione Ray Allen viene sottoposto, per decisione istituzionale, a un sofisticato intervento chirurgico al cuore. Lo Stato decide che deve essere tenuto in vita, per essere ucciso, sessanta giorni dopo, con una iniezione letale» (*).

La vicenda di Ray Allen/Orso-che-corre – Ya-nu-a-di-si, nella sua lingua nativa – è senza dubbio paradigmatica dell’intreccio tra sadismo istituzionale, monopolio statale della violenza e burocrazia che caratterizza la gestione dei corpi reclusi.
Ugualmente paradigmatica è la minaccia – e, purtroppo, la possibilità concreta – di sottoporre a nutrizione forzata Alfredo Cospito, recluso in regime di 41bis e da oltre tre mesi in sciopero della fame contro quello stesso regime di tortura.

Sottrarre e negare al recluso ogni possibilità di autodeterminazione è la dimostrazione più lampante e feroce di quanto il regime carcerario rappresenti esclusivamente la volontà di vendetta dello Stato: se vuoi vivere ti seppellisco vivo/a, se vuoi morire ti tengo in vita a forza (lasciandoti sepolto, ovviamente!), affinché tu non possa MAI fare del tuo corpo uno strumento di resistenza al monopolio statale della violenza.

Alcuni anni fa ho avuto occasione di visitare una mostra sulla storia dello sciopero della fame, allestita a Kilmainham Gaol, ex carcere dublinese dove furono rinchiusi e fucilati anche i principali esponenti dell’Insurrezione di Pasqua del 1916. Una sala della mostra era dedicata proprio alla nutrizione forzata, cui furono costrette tanto le suffragette incarcerate negli anni ’10-’20 quanto le militanti repubblicane Dolours e Marion Price nei primi anni ’70 del secolo scorso ed erano esposti anche gli strumenti (di tortura!) utilizzati per questa violenta pratica coercitiva, poi dichiarata non-etica dall’Associazione medica mondiale nel 1975.

A cinquant’anni di distanza da quella dichiarazione non solo le cose non sono cambiate ma, come due anni di pandelirio hanno ampiamente dimostrato, il monopolio statale della violenza va a braccetto con la sovradeterminazione, da parte istituzionale, delle scelte individuali di vita e di morte così come di quelle relative alla salute e alla cura.
La riduzione capitalistica degli esseri umani a merci, la definitiva reificazione-alienazione dell’individuo nelle mani dello Stato e del Kapitale passa anche – e prima di tutto – attraverso la negazione e la criminalizzazione di ogni forma di autodeterminazione.

Per questo le lotte contro il carcere e contro tutte le istituzioni totali e le loro propaggini nelle istituzioni ordinarie sono lotte femministe, oltre che libertarie e anticapitaliste, come già le nostre compagne ci hanno dimostrato un secolo fa.

(clicca sull’immagine per ingrandirla)

Il silenzio del femminismo mainstream su carcere e istituzioni totali e la ricorrente richiesta di leggi contro la violenza maschile sulle donne, oltre a dimostrare un’ignoranza storica abissale sono i chiari segnali di una volontà collaborazionista con chi si arroga il monopolio della vita, della morte e dell’agonia altrui.

(*) Nicola Valentino, Le istituzioni dell’agonia. Ergastolo e pena di morte, Sensibili alle foglie 2017

La terribile storia di Alice, ostaggio della psichiatria

Ho ricevuto dal collettivo antipsichiatrico Artaud la denuncia di questa vicenda di reiterati abusi su una giovane donna. La pubblico invitandovi a farla circolare il più possibile.

Raccogliamo la denuncia di un padre che chiede giustizia per sua figlia. Ci sembra importante raccontare questa storia di abusi che va avanti da troppo tempo. È necessario attenzionare maggiormente ciò che avviene all’interno di alcune strutture psichiatriche private convenzionate che in Italia sono più di 3.500, spesso veri e propri luoghi di reclusione in cui è difficile entrare e verificare quali pratiche e terapie vengano attuate.
Ci preme sottolineare inoltre come il ruolo degli Amministratori di Sostegno diventa sempre più invasivo e determinante per la vita di persone vittime della psichiatria che di fatto non hanno commesso alcun reato. Vi chiediamo di pubblicare la storia di Antonio e sua figlia sui vostri canali e sui vostri siti, di inoltrarla il più possibile nella speranza che altri si uniscano alla sua battaglia per la liberazione di Alice.

Collettivo Antipsichiatrico Antonino Artaud
antipsichiatriapisa@inventati.org 335 7002669

Racconto la mia storia e quella di mia figlia nella speranza che possiate aiutarmi a tirar fuori mia figlia da una situazione di oppressione fisica e psicologica che è costretta a subire da tre anni a questa parte a causa di malasanità e mal gestione della sua condizione da parte delle istituzioni.
Attraverso le vie legali non sono riuscito a cambiare la condizione di mia figlia. Il caso ha anche una valenza più generale, perché ritengo che possano esserci anche tante altre persone in questa situazione.

Il mio nome è Antonio Di Vita, sono residente a Montevarchi (AR) e mia figlia si chiama Alice Di Vita e ha 26 anni.
Tre anni fa Alice a seguito di un presunto arresto cardiaco fu ricoverata nel Reparto di Rianimazione di Careggi a Firenze. Dopo circa dieci giorni di coma indotto le viene eseguita una tracheotomia e le viene applicata una cannula a scopo precauzionale. Dopo gli esami strumentali (RM, TC e ECC) ripetuti ad otto giorni di distanza, le condizioni di Alice sono definite “incredibilmente ottime”. Nessuna conseguenza cerebrale, nessuna conseguenza motoria e psico-reattiva. I responsabili del Reparto di Terapia Intensiva danno disposizione al trasferimento di mia figlia da Careggi di Firenze al reparto di Riabilitazione dell’Ospedale del Valdarno (Alice era residente a Montevarchi). La prognosi indicata è di circa dieci giorni. Affermano anche che la cannula della tracheotomia dovrebbe essere rimossa entro tre giorni.

Inaspettatamente, per ragioni non chiare, Alice è invece trasferita all’Istituto Don Gnocchi di Firenze, dove rimarrà per più di un anno subendo le pene dell’inferno. Legata al letto o alla sedia, imbottita di psicofarmaci, con infezioni e piaghe causati degli escrementi non rimossi adeguatamente e frequenti attacchi di panico. La cannula della tracheotomia non viene rimossa e genera aderenze alle corde vocali, paralizzandole e granulomi all’interno della trachea (di natura incerta, benigna o maligna). Da subito, a mia insaputa, viene nominato un amministratore di sostegno (ADS) nella persona del fratellastro. A seguito di mia opposizione l’ADS viene sostituito da un’avvocatessa la quale però si disinteressa totalmente di mia figlia. Avendo constatato di persona la mal gestione e le atrocità subite da mia figlia ho presentato diversi esposti alla Procura della Repubblica di Firenze. L’ADS, probabilmente spinto dall’Istituto Don Gnocchi stesso, presenta due istanze per trasferire Alice in altri istituti, prima Villa Le Terme dove la maggioranza dei degenti sono in stato vegetativo, e poi un altro nel quale avrebbe dovuto passare tutta la vita . Io richiedo al giudice di trasferire mia figlia in una struttura pubblica specializzata in otorinolaringoiatria e di sostituire l’ADS con la mia persona. Il giudice non acconsente che sia io ad occuparmi di mia figlia ma sostituisce la l’ADS con un altro avvocato. […] Continua a leggere nel sito del collettivo Artaud