Al fianco di Lina Pinto

Lina, anziana donna proletaria cagionevole di salute, da ottobre è rinchiusa nelle carceri pugliesi. Intorno alla sua vicenda il silenzio è assordante, malgrado sia lo specchio di questa società disciplinare.

Rete Mapuche ha reso pubblica la sua storia e sta sostenendo la mobilitazione – che rilancio – per la sua liberazione.

Questo il comunicato dello scorso dicembre sulla sua incarcerazione:
Siamo amici ed amiche di Lina, una donna di 76 anni, rinchiusa da quasi due mesi in carcere (prima a Trani e da due settimane a Lecce). All’inizio ci abbiamo messo un po’ per affrontare collettivamente ed insieme al figlio, incredulità, rabbia e dolore nel pensarla rinchiusa, alla sua età e con i sui acciacchi, nel Carcere, lontana dalla sua casa, dai suoi affetti e dalle sue abitudini di donna libera e determinata nel vivere la vita in maniera semplice e genuina. Lina è una proletaria che vive insieme al figlio in uno dei tanti palazzi del quartiere Libertà di Bari.
Spesso a Bari le discussioni sono animate e non si sa mai come possono andare a finire; a causa di una di queste discussioni Lina finisce ai domiciliari a seguito di un provvedimento dell’autorità giudiziaria causato da una presunta lite condominiale e dopo alcuni giorni viene portata nel carcere di Trani in quanto considerata “evasa” dai domiciliari che le avevano imposto. L’avvocato non viene avvisato ed il figlio scopre che la madre è stata portata via dai carabinieri dagli abitanti del quartiere.
Lina è stata portata nella discarica sociale del paese Italia; è stata rinchiusa nel carcere femminile di Lecce perché lo stato, i servizi sociali, il welfare, la cura e il sostegno che tutti gli anziani di questo paese dovrebbero avere è loro negato, soprattutto se si è poveri, se si vive in un quartiere proletario e se non si dispone del denaro per poter affrontare al meglio i guai della vita.
Lina è una donna anziana, con diverse patologie e con i segni di un’intera vita passata ad affrontare problemi e difficoltà e la detenzione sta aggravando le sue condizioni fisiche e psicoligiche così come confermato dall’avvocato che l’ha vista ieri (lunedì 5 dicembre) durante la prima udienza del processo a suo carico.
Quello che sappiamo e che vogliamo è che Lina sia liberata immediatamente e sia individuata una soluzione alternativa alla detenzione in carcere perché è indegno per un paese che si considera moderno e democratico che una donna della sua età e con i sui problemi sia costretta a vivere ancora un minuto in più tra le mura di un carcere.
Le amiche e gli amici di Lina

E questa la chiamata alla mobilitazione per il prossimo 16 gennaio:
16 GENNAIO: MOBILITAZIONE PER LA LIBERTÀ DI LINA PINTO (DALLA PUGLIA AL CILE, TUTTE E TUTTI FUORI DALLE GALERE!)
Da metà ottobre ANGELA PINTO (Lina) è stata buttata in carcere senza tener conto dell’età avanzata (76 anni) e delle svariate patologie, in parte legate anche all’età, di cui soffre. Da quel momento su di lei è calato l’oblio del sistema giudiziario e carcerario che contraddistingue l’infamia del nostro bel paese. L’1 gennaio è stata ricoverata per un malore. Il tempo passa e le sue condizioni psicofisiche si aggravano, come spesso succede a chi è privato di libertà. Perché il carcere è questo: annichilimento dell’essere umano. Tutte le pressioni fatte alle istituzioni cittadine, per far attivare la macchina del welfare, si sono trasformate in promesse disattese. A nessuno, importa di Lina. Nessun impiegato dello stato sembra voler guardare negli occhi Lina e ascoltare la sua storia. Come il giudice, automa senza scrupoli né umanità che continua a rigettare ogni istanza di scarcerazione o di attenuazione delle misure cautelari, perché Lina è reclusa nel carcere di Lecce senza nemmeno essere stata condannata. Di fatto hanno deciso di ammazzarla in carcere, in Italia se sei povero muori in carcere. Lo stato di diritto di cui tanto ci vantiamo col resto del mondo è illusorio, la democrazia che siamo bravissimi a esportare con le bombe non è diversa da quella di alcuni paesi ritenuti regimi dittatoriali dall’opinione pubblica. La stessa persecuzione vissuta dai Mapuche, dai Curdi, dai Palestinesi e da tanti altri popoli oppressi oggi si è concretizzata amaramente anche in Italia. E lo vediamo ad oggi anche nella prigionia politica di Alfredo Cospito, rinchiuso e in sciopero della fame al 41bis. Come Rete internazionalista e anticarceraria chiamiamo alla mobilitazione internazionale in solidarietà con Lina: il giorno 16 gennaio 2023 dalle 8.30 saremo presenti fuori dal tribunale penale di Bari in Viale Saverio Dioguardi 1, dove si svolgerà l’udienza e dove faremo sentire forte il nostro grido ribelle. Chiediamo a movimenti, collettivi, associazioni e chiunque percepisca il dolore di questa ingiustizia di essere per strada o fuori alle sedi che rappresentano la malvagità dello stato italiano ognuno con le proprie pratiche di dissenso.
Solo la lotta paga. La solidarietà è un’arma, la solidarietà è una prassi, usiamola! Fuori tutte e tutti dalle galere, libertà per Lina!

Che due anni di pandelirio non finiscano nel dimenticatoio!

Il 23 e 24 aprile prossimi si terrà a Napoli il convegno autogestito Tutta un’altra storia. Un’occasione importante per ritrovarci e confrontarci e, soprattutto, perché non si perda la memoria della gestione autoritaria e delle vessazioni che hanno caratterizzato questi ultimi due anni.

Qui il programma e il testo dell’invito al dibattito.

Lo spettro di Seveso

Era il lontano 2007 quando, come collettivo Maistat@zitt@, organizzammo a Milano un incontro su produzioni di morte, nocività e difesa ipocrita della vita, a partire dal disastro avvenuto a Seveso poco più di trent’anni prima.

Rileggere i dispositivi autoritari con cui le istituzioni gestirono l'”emergenza diossina” a Seveso può fornirci degli strumenti utili per comprendere il presente e liberarci definitivamente dalla narrazione tossica che da due anni ci avvelena l’esistenza e ‘militarizza’ la nostra salute.

Per questo da alcune settimane ho cominciato a girare per l’Italia proponendo un percorso di riflessione su queste tematiche che ci aiuti a comprendere come differenti percezioni del rischio possano attivare strumenti di lotta e di autodeterminazione o, all’opposto, aprire la strada a soluzioni autoritarie.

Man mano che si definiscono aggiornerò qui i prossimi appuntamenti, ma intanto vi invito a leggere l’intramontabile (purtroppo!) Topo Seveso.

Appuntamenti: Roma – 5 marzo; Pisa – 13 marzo; Bologna – 18 marzo; Udine/Trieste – 19 e 20 marzo; Genova – 23 marzo; Busto Arsizio – 2 aprile; Parma – 6 maggio; Ravenna – 7 maggio (1 e 2); Trento – 8 maggio; Taranto – 21 maggio; Tradate – 3 giugno; ….

Seveso, 1976

Femminicida, altro che “stella sbagliata”!

Una compagna a me molto cara facendo un po’ di ricerche ha scoperto che Christian Michele Locatelli, femminicida di Viviana, ha scritto dei libri, principalmente autoprodotti, che sono in vendita nelle maggiori librerie on line.
Propone, quindi, di scrivere a tutte queste librerie perché blocchino la vendita dei suoi libri.

Appoggio questa sua iniziativa, che rompe un preoccupante silenzio.

Qui di seguito i link al libro in vendita. Se ne trovate altri, segnalatemeli.

Amazon, il Libraccio, Unilibro, la Feltrinelli, Libreria Universitaria, Mondadori Store, Ibs.

Per scrivere, poi, alle librerie, occorre utilizzare i singoli contatti che di solito stanno in fondo alla pagina web.

Chi fosse già registrata in una o più di queste librerie, può anche lasciare un commento in coda alla recensione, come qualcuna ha già fatto.

È ora di mettere i puntini sulle A!

Clicca sulla locandina per ingrandirla

A partire da sabato 1 febbraio si terrà a Viareggio un ciclo di incontri di autoformazione femminista – riservati alle donne – che ho organizzato in collaborazione con le Donne in cantiere. Naturalmente, non si poteva partire che da Autocoscienza e separatismo, con Daniela Pellegrini.

Nel blog della Coordinamenta – che partecipa al percorso – trovate un’intervista a me ed Antonietta che spiega le ragioni di questa autoformazione, ma trovate anche tanto altro materiale utile per approfondire le tematiche che affronteremo nel corso dei prossimi mesi.

Boicotta il carnevale, butta la maschera e vieni al sabba!

Postvittimismo, ma davvero!

Parma-2Qui potete ascoltare il podcast dell’intervista che ho rilasciato a Radio BlackOut sull’iniziativa seminariale di Parma.
Qui la registrazione dell’intera iniziativa e qui una sintesi del laboratorio, per chi volesse proporlo nel proprio territorio.

Voglio ringraziare di cuore chi ha organizzato l’incontro e le numerose donne che vi hanno partecipato – venendo anche da Como, Milano, Roma, Bologna, Cremona e altre città – nonché le compagne della Coordinamenta che, ancora una volta, hanno dato un importante contributo alla lotta femminista e anticapitalista, e tutte le compagne che ci hanno sostenute in questo percorso.

Un abbraccio forte alle splendide donne che hanno partecipato allo stage di autodifesa femminista che si è tenuto a Parma sabato 20 e domenica 21 e tutta la mia solidarietà alle compagne che oggi vengono processate all’Aquila con l’accusa di aver diffamato il difensore di Francesco Tuccia – stupratore in divisa.

Grazie a tutte queste donne il postvittimismo camminerà con gambe sempre più forti e sicure, radicate nella consapevolezza di sé e nella lotta antipatriarcale, senza paura!

L’immagine di questo post riproduce uno dei cartelli esposti dalle compagne nell’aula magna dell’università di Parma, durante l’incontro seminariale di venerdì scorso.

¿Dónde está Santiago?

Santiago-MaldonadoDiversi artisti hanno composto una canzone – ¿Dónde está Santiago? – per far conoscere al mondo la vicenda di Santiago Andrés Maldonado, “desaparecido” della democrazia argentina da oltre un mese. Il “patto di silenzio” tra governo e gendarmeria sulla sparizione di Santiago ci dice molto del capitalismo neocoloniale e neoliberista e dei suoi cani da guardia – come molto ci dicono gli intrallazzi del governo argentino col boia sionista Netanyahu.

2Inutile dire che di questo gravissimo fatto in Italia si sa poco-nulla, dato che di mezzo c’è l’immancabile gruppo Benetton, in prima linea nel lento genocidio della popolazione indigena Mapuche – il Popolo (che) della Terra (mapu) che da oltre un secolo lotta per riavere indietro i territori che gli sono stati sottratti dai governi argentini e cileni – in Patagonia, per mano di gruppi militari e paramilitari.  La famiglia Benetton è, infatti, il più grande gruppo proprietario terriero in Argentina, possiede circa 900.000 ettari di campo nelle provincie di Benetton_Chubut_-_Territorio_Mapuche_RecuperadoChubut, Rio Negro, Buenos Aires e Santa Cruz. Quelle terre, espropriate ai loro abitanti ancestrali, vengono deforestate e ridotte a pascolo per le migliaia e migliaia di pecore che diventeranno, poi, quei “bei” maglioncini, che grondano sangue indigeno, esposti nelle vetrine dei negozi Benetton.

Santiago Maldonado è “desaparecido” proprio quando, all’inizio di agosto a Cushamen, nel nord-est della provincia di Chubut, manifestava con un gruppo di Mapuche  in difesa del territorio e per chiedere la liberazione di Facundo Jones Huala, attivista della RAM (Resistencia Ancestral Mapuche) incarcerato in quanto figura di spicco nelle occupazioni delle terre appartenenti alla famiglia Benetton.

Come spiega un interessante articolo pubblicato su Resumen latinoamericano riportando le parole di Walter Barraza, del popolo tonokote, di Néstor Jerez, del popolo Ocloya e di Néstor Gabriel Velázquez, del popolo Guaraní – Lo scenario della repressione nella quale è avvenuta la sparizione forzata di Santiago Maldonado è il territorio delle comunità indigene, che sono costantemente vessate dai proprietari terrieri e dalle aziende impegnate nel settore minerario e in quelli della deforestazione e del petrolio, dal progressivo avanzare della frontiera dell’allevamento. […] “C’è una differenza abissale [tra terra e territorio]“, spiega il camache Barraza. “La terra parla di proprietà privata, è un concetto mercantilistico e, invece, il territorio ci include come persone, quindi ci obbliga a curare la natura. Noi nativi viviamo in armonia con i fratelli animali, le piante, l’acqua; siamo parte del territorio, che ci dà tutto quello di cui abbiamo bisogno. Deforestare è come amputare. La cultura occidentale ha un altro modo di vedere. Loro vengono per le risorse naturali, mentre noi viviamo in armonia con quelle risorse”. Continue reading